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AMARA LAKHOUS: “ASPIRANTI SCRITTORI, CONCENTRATEVI SUL PROGETTO LETTERARIO. E UNITEVI A UNA SQUADRA DI PROFESSIONISTI”

Testata: Bibliocartina
Data: 18 maggio 2013

Dal Salone di Torino - Gironzolando per il Salone in cerca di belle storie e opinioni da raccontare abbiamo incontrato lo scrittore Amara Lakhous, penna di rilievo della casa editrice romana e/o. Qui a Torino per presentare il suo ultimo romanzo “Contesa per un maialino italianissimo a San Salvario“, Amara Lakhous, scrittore algerino residente in Italia da decenni e ormai cittadino italiano, a Bibliocartina racconta di sé e dei suoi libri a cominciare proprio da quest’ultimo, una sorta di giallo condito da grandi dosi di ironia che si svolge nel 2006, all’epoca delle grandi campagne razziste contro i romeni. “Si ambienta a Torino, nel quartiere San Salvario, dove mi sono trasferito da un anno e mezzo circa a mie spese, per iniziare questo nuovo lavoro”. Il grande tema dell’immigrazione ma soprattutto del razzismo degli italiani è uno di quegli argomenti che ci dicono dell’Italia di oggi, e che tuttavia sono quasi assenti dalla narrativa spiccatamente ombelical-borghese degli scrittori odierni. Lakhous invece ha scelto già da tempo di mettere il dito su questo nervo scoperto dell’Italia odierna, e di più: “ho capito che per comprendere il razzismo degli italiani oggi bisogna andare a ritroso nel tempo, risalire al razzismo fra gli italiani, ed è per questo che il protagonista del mio nuovo romanzo è un giornalista nato a Torino ma di famiglia calabrese, un “terrone di seconda generazione” come si definisce lui. Quale luogo migliore di Torino per esaminare questo fenomeno? La quasi totalità dei torinesi dai 50 anni in giù è di origine meridionale.” Il protagonista del romanzo è di origine “immigrata” dunque, ma è anche una persona affascinata dal cambiamento di panorama umano che sta avvenendo nel suo paese. “L’Italia è un paese che sta per perdere la sua partita nei confronti della questione razzismo e immigrazione”, racconta Lakhous. “Perché non fa i conti con la sua storia, con la sua memoria persino recente. Si parla tanto di mancata integrazione: ma in verità l’integrazione è perfetta in questo paese. Un’integrazione di tipo criminale, i criminali si integrano perfettamente in tessuto sociale che è già profondamente criminale, non lo diventa certo perché sono arrivati gli ultimi. Il risultato è che a farne le spese di questi discorsi falsati su immigrazione e integrazione sono le persone comuni immigrate, che faticano una vita per ottenere la cittadinanza, per esempio”.

Parlando con Amara Lakhous ci si rende conto fulmineamente di quanto uno dei cambiamenti umani più profondi e sconvolgenti avvenuti in Italia negli ultimi decenni, di portata immensa come quello dell’immigrazione sia sostanzialmente assente nella letteratura odierna, espunto dalla realtà o confinato in ghetti che rapidamente sono diventati sempre uguali a se stessi come quello della “letteratura della migrazione”, ed espunto anche dai discorsi degli addetti ai lavori. Si identificano in modo ostinato e superficiale le “rivoluzioni editoriali” nelle tecnologie usate per raccontare, ignorando le trasformazioni umane. “Gli scrittori che oggi in Italia si occupano di tematiche relative all’immigrazione sono pochissimi”, conferma Lakhous. “Bisogna avere gli occhi aperti, voler guardare e farlo nella direzione giusta. Carmine Abate è senz’altro uno di quelli che più affronta l’argomento. Noi non siamo saggisti, non si tratta di esaminare una tematica in chiave sociologica, ma di avere una certa visione del mondo e un certo linguaggio per raccontarla. Io che non sono di madrelingua italiana attingo da tempo, per esempio, forse con maggiore libertà di quanto non farebbe un italiano ai diversi dialetti regionali per arricchire la mia lingua. In quest’ultimo romanzo lo faccio con il calabrese, in passato l’ho fatto con il siciliano o con il napoletano. Mi muovo tra le lingue, ma mi muovo anche nei luoghi. Cerco di intuire, di caprie quali sono i luoghi dove i cambiamenti iniziano a manifestarsi. Per questo sono approdato a Piazza Vittorio a Roma prima, a San Salvario poi, e continuerò a spostarmi ancora se il mio progetto di ricerca letteraria me lo richiederà”.

Il progetto letterario è tutto - Su questo concetto di “progetto letterario” Lakhous insiste: “oggi le tecnologie sono lì per farci credere di poter essere tutti scrittori, e che basta pensare una cosa per immediatamente poterla, anzi doverla, pubblicare. Ma esattamente come non tutti siamo medici, o avvocati, non tutti siamo scrittori. Essere scrittori non è soltanto ‘esprimere ciò che si ha dentro’, è un mestiere vero e proprio che richiede tecnica, richiede un progetto relativo al mondo che si vuole raccontare, a come si pensa di farlo. Riguarda innanzitutto i contenuti di ciò che si ha da dire, ma riguarda anche i metodi, il mestiere che si possiede e che si è appreso”. L’autopubblicazione oggi così apparentemente semplice “è in realtà un’opportunità molto triste perché spinge a una visione del tutto individualistica, ma anche dilettantesca della scrittura; ma la letteratura, per me, è un gioco di squadra professionale. Senza la professionalità del mio editore non sarei mai riuscito a portare avanti il mio progetto da solo. Bisogna imparare, “sedersi sempre nel banco con i migliori” come mi diceva mio padre, farsi dare una mano da chi è in sintonia con il tuo progetto affinché si possa arrivare insieme all’obiettivo”. Ciò che è avvenuto con la casa editrice e/o “che non ho trovato per caso, l’ho cercata, l’ho scelta sapendo che cosa volevo dire io e che cosa, con i loro libri, stavano cercando di dire loro. Ho bussato alla porta sapendo che erano il treno giusto per me. Da allora siamo una squadra, lavoriamo insieme, loro sostengono i miei progetti e io sono parte dei loro. Nessuna piattaforma di autopubblicazione può sostituire questo lavoro di squadra”.