Dall’autrice di Settanta acrilico trenta lana, Premio Campiello Opera Prima, un nuovo avvincente romanzo: Cuore cavo di Viola di Grado.
La protagonista, Dorotea, è morta. Nel diario racconta il progressivo irrigidimento del suo corpo, che la porta lontana dal mondo tangibile e reale, ma vicina più che mai, dentro i giorni e le parole, a quella vita abbandonata.
Tutto finisce e comincia dentro una vasca. Là dove andava a controllare che sua madre fosse sempre viva, nei lunghi bagni prima di cena. L’ossessione per la morte della mamma depressa, infatti, permea il racconto a ritroso, sfociando nel gesto folle del taglio di vene. Il ritmo del testo è quello scandito da un respiro che non vuole finire e requie continua a tornare.
La morte ha portato alla totale assenza di confini, a una libertà assoluta che diventa prigionia. La ragazza, venticinquenne, si sente sola, inutile e abbandonata. Il padre è inesistente e il fantasma di una zia morta continua ad annebbiarle i sogni.
Un romanzo che parla di morte ma che è un inno alla vita. Dorotea, infatti, cercherà continuamente di interferire con il mondo che le apparteneva, continuerà a stare accanto a sua madre, si innamorerà. Andrà alla ricerca continua di qualcuno con cui parlare, morto o vivo che sia: “So che non ci vediamo da diciott’anni, ma ho sentito che sei morto l’anno scorso in un incidente con il motorino. Be’, io mi trovo dalle tue parti, sono morta anch’io, pensavo che se sei libero un giorno di questi potremmo prenderci un aperitivo insieme…”
È la storia di un’anima persa, condannata a cercare il proprio io dentro le fotografie, a combattere lo scorrere indifferente delle cose. Una defunta che continua a vivere e morire reclamando il tempo. Una speranza di rinascita: “Quando sarò grande, e il mio corpo sarà scomparso, sarò petali e fiumi melmosi e infiniti occhi e scale di dita aperte e fumo-ghiaccio-ciglia-corteccia-grandine-lana-fegato-ferro-luna-ali di mosche.”
Peccato che il romanzo finisca poco dopo la nascita della cugina di Dorotea, portando oltretutto il suo nome. Una conclusione un po’ banale, che lascia pensare alla reincarnazione della protagonista. Una fine, che però non inficia tutto il racconto, bello e avvincente.
Viola di Grado è nata a Catania. Il suo primo romanzo, Settanta acrilico trenta lana è già stato tradotto in otto paesi.