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Il paese dimenticato dal tempo di Xavier-Marie Bonnot

Autore: Marilia Piccone
Testata: Wuz
Data: 17 luglio 2013

1936. Uno splendido veliero, la Marie-Jeanne, approda in Nuova Guinea. A bordo un gruppo di esploratori francesi tra cui l’etnologo Fernand Delorme e l’appassionato studioso Robert Ballancourt. Con l’aiuto di una guida locale, su una pagaia, si addentrano nella foresta lungo il corso del Sepik. Sono colti e curiosi di sapere di più sugli indigeni, ma sono anche in cerca di oggetti caratteristici da acquistare - le famose teste mummificate, ad esempio, quei crani con decorazioni di conchiglie a tappare gli orifizi che sono una magnifica sfida al mistero impenetrabile della morte.


Marsiglia 2006. L’anziano dottor Delorme viene assassinato nel suo studio. Sul volto irrigidito dalla morte l’assassino ha posato una maschera tribale. Sullo scrittoio, davanti a lui, “Totem e tabù” di Freud aperto alla pagina in cui si descrive l’azione violenta compiuta dai figli sul padre, uccidendolo e divorandolo, appropriandosi così di una parte della sua forza. Da una delle vetrinette che contengono le sue collezioni è scomparso un pezzo di valore, un cranio papuano, uno dei cosìddetti ‘crani degli antenati’. Arrivato sul posto per le indagini, mentre si aggira per la casa, l’ispettore Michel De Palma sente la musica di un flauto - un’allucinazione auditiva? O forse è l’assassino che non se ne è ancora andato? Michel De Palma rabbrividisce suo malgrado, perché quel suono che è quasi un lamento sembra provenire dal regno stesso dei morti, dal luogo dove alloggiano gli spiriti.


Interessante, intrigante, originale, bello, insomma, il romanzo di Xavier-Marie Bonnot “Il paese dimenticato dal tempo”. Perché la vicenda si svolge su due piani narrativi e in tre tempi diversi: il diario di bordo della Marie Jeanne è prezioso per ricostruire gli avvenimenti del 1936, e non solo quello che accadde quando la spedizione di bianchi risalì il Sepik sbalordendo gli indigeni che, non avendo mai posato gli occhi su un bianco, interpretavano ciò che vedevano secondo i loro miti pensando che i nuovi arrivati fossero gli antenati così trasformati al ritorno dal paese dei morti. Infatti il capitano di bordo annota pure le sue impressioni sul carattere di Delorme e di Ballancourt e la loro diversa maniera di comportarsi davanti ai ‘selvaggi’, nonché accumula dettagli sui reperti acquistati per pochi soldi o dozzinale merce di scambio - un vero e proprio tesoro. Il protagonista della seconda narrativa è invece l’ispettore De Palma ormai alla vigilia della pensione. Il genio investigativo di De Palma si basa sulle sue intuizioni - è un tipo curioso, De Palma, che si procura il testo di Freud e si documenta sulle civiltà primitive perché capisce subito che la motivazione dell’assassinio deve essere lì, anzi, laggiù, nelle isole lontanissime che ormai non sono più le stesse visitate da Delorme e Ballancourt (morto ormai da anni). Prova ne è che a Parigi viene ucciso un mercante d’arte primitiva, che qualcuno profana la tomba di Ballancourt...


Il passato che spiega il presente, il passato che scompare ineluttabilmente, per il singolo e per un popolo - è il passato, problematico, triste come la musica del flauto che aleggia nella casa del morto, scomparso per sempre e insensibile a qualunque richiamo, che domina le pagine del romanzo di Bonnot. Il passato che riappare nei ricordi di De Palma, della Marsiglia di un tempo, della sua famiglia, della ragazza che ha amato e che ora riappare, invecchiata, al suo fianco. Ma soprattutto il passato di Ballancourt e di Delorme, con la loro responsabilità nei confronti dei papuani - responsabilità condivisa da tutti i bianchi che sono arrivati in luoghi lontani abitati da popolazioni diverse per colore della pelle, usanze, costumi e cultura, e hanno imposto la loro, di cultura, con arroganza e presunzione di superiorità, razziando tesori d’arte che esprimevano l’essenza di quella gente, sostituendoli con i prodotti pacchiani e a buon mercato della civiltà consumista e globalizzata, riducendo i selvaggi (“il barbaro è prima di tutto colui che crede nella barbarie”, ha scritto Claude Lévy-Strauss) a ombre di quello che erano, simili agli spiriti che nello stesso tempo temono e venerano.


“Il paese dimenticato dal tempo” è solo un romanzo di indagine poliziesca, ma è capace di trasportarci lontano, insieme a De Palma che si recherà in Nuova Guinea (il finale è bello e della tremenda tristezza dell’ineluttabile), e di farci condividere il senso di colpa che dovrebbero provare tutti i bianchi anche se non direttamente coinvolti.