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A tu per tu con… Massimo Tallone

Autore: Sara Bauducco
Testata: Gli Amanti dei Libri
Data: 31 agosto 2013

Il capoluogo piemontese fa da sfondo ai suoi romanzi gialli, storie colme di mistero tratteggiate con toni che passano dal vivo naturalismo all’ironia e si spingono fino al grottesco con venature comiche: Massimo Tallone, che pubblica con Fratelli Frilli ed  e/o, ci racconta quali ingredienti ha usato per costruire il suo ultimo lavoro, Il diavolo ai giardini Cavour, una lettura che appassiona e incuriosisce.

Torino e altri luoghi del circondario sono i veri protagonisti del romanzo. Attraverso la trama riesci anche a raccontare la loro storia. Come avviene la scelta per l’ambientazione, in questo caso sempre connotata da tonalità cupe e misteriose?

Ho notato che tutte le esperienze reali della mia vita sono connotate, nel ricordo, da una piena fusione di fattori umani e di elementi per così dire logistici, che si fondono e ottengono pari dignità. Una vicenda indimenticabile non è mai disgiunta dal luogo in cui si è svolta, e quel luogo si carica di senso emotivo e di spessore narrativo. Così, quando scrivo, cerco di considerare i luoghi alla stregua dei personaggi, dando loro qualità e cromatismi capaci di insediarsi nella esperienza sensoriale del lettore. La scelta delle ambientazioni, dunque, è fondamentale, per le mie storie. E siccome gli ultimi due romanzi, Il fantasma di piazza Statuto e Il diavolo ai giardini Cavour, sono caratterizzati da misteri e da vicende tenebrose (ma anche comiche, e qua e là grottesche) ecco che anche piazze, angoli e case isolate assumono un tono sulfureo.

Molta attenzione è data alla caratterizzazione dei personaggi, ognuno ha un particolare che definiscecontemporaneamente aspetto fisico e psicologia. Uno dei principali è il signor Vienna che ha la “malattia delle ossa di vetro”: di cosa si tratta e come è nata questa idea così originale che ti ha aiutato a costruire la storia?

Avevo bisogno di un personaggio che rivestisse il ruolo di testimone e narratore della storia. E questa voce doveva essere in grado di mantenere un tono distaccato e ironico anche nei momenti di maggior tensione e di paura. Perciò ho pensato a una malattia che costringa fin dall’infanzia a un pieno e costante autocontrollo fisico ed emotivo. Ricordavo che il bravissimo Michel Petrucciani ne era purtroppo affetto, e ne morì. Mi sono documentato e ho affibbiato a Vienna il grado più lieve della malattia.

Nel romanzo vi è spazio non solo per il mistero e i colpi di scena ma anche per l’amore, tuttavia non dobbiamo pensare a un amore mielato; è un elemento indispensabile o naturale per lo svolgimento dei fatti e l’architettura del libro?

Io sono molto guardingo in materia di amore, in letteratura. Tuttavia, per il Diavolo avevo bisogno di una graduale e inesorabile convergenza dei tre attori della vicenda, Anna, Vienna e il Gufo, l’uno verso l’altro, affinché l’epilogo suonasse fuso e rotondo come in un terzetto d’opera e non come tre voci distinte. L’amore fra Vienna e Anna è una di queste convergenze e ho cercato di rendere a entrambi difficile la vita amorosa, ma per ragioni un po’ speciali…

Chi è il diavolo e come hai fatto a descrivere in modo tanto particolareggiato – pur talvolta condito con una vena di ironia che porta il sorriso – scene truci e messe nere? Anche in questo tuo romanzo, come nel precedente Il fantasma di piazza Statuto, c’è traccia di esoterismo.

Il Diavolo, nel romanzo, è una figura sfuggente alla quale non voglio affidare definizioni. Ci tengo soltanto a dire che uso questo termine in una accezione etimologica, per indicare ciò che separa, che divide, implicando però nel concetto negativo di separazione anche il valore positivo di dividere per riconoscere, capire, analizzare e scegliere. E poi, ho dato al mio diavolo una seconda accezione, tutta letteraria e ben nascosta… Aggiungo che la trama intreccia due storie, divise e unite fra loro con andamento elicoidale, come il DNA. E siccome l’ultima scena riapre i giochi, l’elica narrativa diventa generativa… Circa le scene ‘indiavolate’ e l’orgia satanica, ho lavorato solo di fantasia, cercando di dimenticare il più possibile la famosa orgia dell’ultimo film di Kubrick.

Quali sono secondo te gli ingredienti indispensabili per un buon giallo e come si trae ispirazione per scriverlo?

Non so dare ricette precise, ma credo che sia necessaria una forte idea iniziale (nel caso del Diavolo, l’idea di un tizio che cerca case insanguinate) e una o due scene madri potenti (avevo in mente la donna torturata e la messa nera). Poi si tratta di organizzare intorno a questi elementi la storia, trovare un tono, definire lo stile, dosare le attese…

Cosa auguri ai lettori de Gli Amanti dei Libri?  

Di inseguire sempre l’intelligenza, l’amore, l’avventura, il coraggio, la ricchezza, la salute, il pensiero: se ne trovano grandi quantità nei libri!