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Vitalità dell'odio in interni corsi

Autore: Fabio Pedone
Testata: Alias / Il Manifesto
Data: 15 dicembre 2013

Sappiamo che la memoria, per quanto indispensabile e corretta, può diventare in certe epoche storiche un labirinto, una fucina di fantasmi, una condanna; e che invece una quota di oblio è a volte una necessità salutare sia per l'individuo che per la collettività. Si stringe attorno ai temi esistenziali della memoria e della vendetta la nuova apparizione in libreria dello scrittore corso Jérôme Ferrari, che dopo il Prix Goncourt (vinto lo scorso anno con Il sermone sulla caduta di Roma) e il buon successo di quel romanzo in traduzione italiana, sta continuando a vedere tradotte altre sue opere: l'appena uscito Balco Atlantico (e/o, traduzione impeccabile di Alberto Bracci Testasecca, pp. 160, € 16,50) è un romanzo che nel 2008 non aveva quasi lasciato traccia nella considerazione della critica e del pubblico in Francia; ma ora viene illuminato da una luce nuova, perché – pur mantenendo un profilo del tutto indipendente sul piano della trama e del piacere della lettura – si presenta in qualche modo come un prequel del libro scritto l'anno scorso dal quarantacinquenne docente di filosofia di origini corse.Ma anche chi non ha letto Il sermone avrà l'occasione di avvicinarsi con Balco Atlantico alla protostoria di uno dei più interessanti autori contemporanei di lingua francese. Il fulcro del romanzo è sempre il bar di Marie-Angèle e di sua figlia Virginie, in una Corsica stranamente priva di turisti, proiettata solo sulla rimuginazione incessante di odi e vendette e sulla creazione del mito di un'anima corsa rude, indomita. Balco Atlantico è costruito su voci che si alternano in diversi momenti della storia recente e si concentra su un manipolo di personaggi in una narrazione però intimamente unitaria: le due figure principali, Stéphane Campana e TheodoreMoracchini, sono anche i fuochi della narrazione, con vite centrate su due assoluti, che sono anche due condizioni perfettamente assurde. Stéphane, un militante indipendentista che verrà ucciso davanti casa della giovanissima Virginie, la ama, riamato, da quando la ragazza aveva tredici anni, ma non ha mai voluto avere un rapporto fisico con lei; si limita a contemplarne in silenzio il corpo meraviglioso, aggirandosi attorno al letto in preda a fitte feroci di desiderio. Theodore è invece un professore di antropologia schiavo di un'ossessione feticista, che scava negli archivi alla ricerca del sangue rappreso delle antiche faide corse e che per ironico contrappasso subisce l'opposto dell'amnesia, vale a dire un «eccesso di memoria»: i suoi ricordi di una vita familiare nel passato con una moglie e una figlia piccola sono probabilmente del tutto inventati, gli appunti di diario che crede di aver preso sono solo false diffrazioni mentali («dopo tutto, reali o meno, per noi gli oggetti del mondo non sono mai altro che contenuti della nostra mente »); intanto riceve le visite di un fantasma proveniente dal Settecento: un'ombra che parla di odio, tradimento e vendetta. «Uno degli aspetti angosciosi dell'eccesso di memoria» – fa dire l'autore a Theodore – «è che si rasenta l'infinito e si rischia continuamente di dissolversi in esso». In Balco Atlantico quell'infinito è anche la volontà continuamente frustrata di essere tutto, di valicare i limiti dell'esperienza umana; ed è la purezza l'ossessione fondante, così come le azioni principali, che regolano tutte le altre, sono quelle del vedere e del celare alla vista. C'è una rottura oscena del più umano pudore sia in Virginie che, bambina, spia dal finestrino della macchina Stéphane mentre fa sesso con una ragazza incontrata quella sera stessa, sia nella fotografia che lo stesso Stéphane scatta al suo ex amico e compagno di lotta Dominique dopo avergli sparato. Come nel Sermone sulla caduta di Roma, anche qui assistiamo al lento incrinarsi di un'idea di mondo, anzi a mondi faticosamente costruiti che crollano nel giro di un istante, per un capriccio, un fraintendimento, una voglia mal tenuta a bada, o semplicemente per il naturale corso delle cose: «L'odio è allegro, in fondo, pieno di vitalità. Gli amanti non rimpiangono l'unità perduta. Pregano per la guerra». Allora il puro ideale nazionalista si sfalderà irrimediabilmente non a causa di eventi apocalittici, ma per le misere conflittualità interne a cui si abbandonano i compagni (e si finirà per uccidere degli innocenti); la sfida per Theodore e Stéphane sta nella capacità di cambiare seguendo il mutamento cui ogni vicenda umana è esposta, e sapendo rinunciare alla «costruzione di un passato» ideale da offrire alla nazione corsa. E se nell'amore assoluto, immacolato, di Stéphane per Virginie il desiderio giunto alla sua vetta brucia se stesso, nel fantasma di un soldato del Settecento Theodore arriva a dare corpo a quel che non c'è, neutralizzando quel desiderio che, come ha messo in luce Maurice Blanchot, vaga senza fine nello spazio muto e chiuso di cui consiste ogni oblio. In realtà, in queste due esperienze- limite si configura per Ferrari, nel più corsocentrico dei suoi libri, una vendetta inversa e simmetrica: una vendetta su quell'immagine romantica e sanguinaria della Corsica che Mérimée ha trasfuso in letteratura nell'Ottocento e che poi è passata nel secolo seguente fino alle figuremitizzate degli indipendentisti arrestati negli anni ottanta e novanta. Secondo la logica atavica della faida, anche Vincent dopo il delitto che commette aspetta il processo che gli intenteranno i fantasmi nel buio della sua stanza, ma la sua speranza paradossale resta delusa: la vendetta non giunge, la ruota della violenza non gira; «Mai fantasmi», lascerà scritto prima di compiere il gesto definitivo. Da sempre la letteratura commercia con i fantasmi, tentando di farsene attraversare ma anche di addomesticarli quanto più ne soffre il morso; e noi sentiamo la necessità di avere di fronte fantasmi così come di sceglierci gli avversari giusti, che siano della misura del nostro desiderio. Sarebbe facile cedere alla tentazione di identificare ogni personaggio di Balco Atlantico con una specifica posizione ideologica, sapendo che da giovane Jérôme Ferrari ha creduto profondamente nel movimento indipendentista corso, ma il dolore e la potenza delle immagini sopravanzano la griglia immediatamente politica, e ilmistero dei personaggi – soprattutto Virginie, che proprio nei suoi lati d'ombra ha qualcosa di dostoevskijano – eccede di continuo la tesi rigida cui pure potrebbero rimandare. Mentre in Stéphane, che ama pensarsi come un eroe e viene arrestato per pura goffaggine e infantile imprudenza, vediamo quanto la nostra presunta gloria sia intessuta di ridicolo. Balco Atlantico, ultima tappa di un lungo e sofferto percorso di distacco dalla militanza indipendentista dell'autore, vive delle domande e dei dubbi che Ferrari ha posto a se stesso riflettendoli su chi legge. Sta in questo la ricchezza intimamente romanzesca di una narrazione in cui gli aut-aut insufficienti che inquadrano l'esistenza tentando di controllarla si intrecciano, si sovrappongono e si sciolgono senza tregua. Perché se è vero che «il premio della conoscenza è la disillusione», allora «non è con la logica che si può sperare di raccapezzarsi in una vita umana».