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Divorzio all'islamica in viale Marconi di Amara Lakhous

Testata: Little Miss Book
Data: 21 gennaio 2014

Certo che a viale Marconi di cose ne accadono tante! I quartieri sono sempre affollati, affollatissimi ma a misura d'uomo, in cui un'intera comunità è alla prese con qualche problema da risolvere.
Divorzio all'islamica in viale Marconi - Amara Lakhous è legato ai titoli chilometri così ironici e così evocativi - non ha i risvolti tragici di Divorzio all'italiana, anche se probabilmente ne richiama l'atmosfera comicamente graffiante.
Nei suoi libri c'è sempre qualcosa di indagare. E questa volta la carne sul fuoco è tanta, si parla addirittura di terrorismo!
Issa, il cui vero nome è Christian, è un siciliano che lavora al tribunale di Palermo come interprete di lingua araba, viene assoldato dai servizi segreti per una missione importantissima, denominata “Little Cairo”, per scovare una cellula terroristica a Roma.
Sofia viene dal Cairo insieme al marito, laureato in architettura e pizzaiolo in un ristorante italiano, ha una valigia carica di sogni che vorrebbe realizzare in Italia, libera dalla costrizioni del paese di origine.
La storia si dipana attraverso due punti di vista, quello di Issa e di Sofia, che narrano sempre in prima persona: è quasi un dialogo, un faccia a faccia inconsapevole. Issa e Sofia sono due voci limpide e luminose.
Issa si misura con le dure condizione che un immigrato deve affrontare, la convivenza con altri stranieri, vivere in spazi angusti e privi di igiene, le umiliazioni sul lavoro, il timore di tornare al paese natale: il suo è il punto di vista di un italiano.
Sofia, da vera straniera, deve fare i conti la nostalgia della sua terra, con i pregiudizi e anche le regole maschiliste imposte dagli osservanti musulmani autentici o presunti, in primis suo marito. Sofia vuole un futuro migliore per sé e per sua figlia, che non significa ricchezza ma affermazione della propria persona, di donna in quanto tale. «Ogni immigrato è destinato a costruirsi una vita di successi», è il fardello che ogni straniero reca con sé una volta approdato in un nuovo Paese: dichiarare e manifestare materialmente l'essere riuscito a raggiungere il paradiso. Sofia lo sa bene.

La critica non è mai a senso unico. Gli abitanti del quartiere multietnico sono smascherati dal loro fittizio e (spesso) pericoloso fanatismo religioso, dall'incapacità di integrazione. Gli italiani soffrono senza motivo questa convivenza, sinonimo di pseudo terrorismo. Nonno Giovanni, figura marginale del racconto, rappresenta appieno l'italiano che si documenta superficialmente e attinge le informazioni da un tipo di stampa che tenta di salvare l'italianità puntando sui pregiudizi.
Issa è gelato da questa affermazione: «In Italia abbiamo arrestato con l'accusa di terrorismo un bel mucchio di immigrati musulmani, e avevamo a disposizione indizi, mai o quasi mai vere prove». Pensare al caso Abu Omar, come citato nel romanzo, è ovvio.
Cosa troviamo, inoltre, in questo libro? C'è una bella riflessione sulla condizione femminile non solo nel mondo arabo, e persino sul considerarsi italiano, un'appartenenza sentita solo in concomitanza con le partite calcistiche della Nazionale. Issa conosce sulla propria pelle l'orrendo luogo comune che lega i siciliani alla mafia.
Tutto ha la dimensione dell'equivoco, del grottesco, del serio, un confronto tra Oriente e Occidente.
L'autore ci regala una storia tragicomica, reale quanto leggera nella scrittura e velatamente drammatica. Un ritratto amaro di un'Italia contemporanea carica di contraddizioni, una lettura frizzante e piacevolissima dal finale sorprendente. La pillola da ingoiare è amara, molto amara: ha ancora senso essere renitenti all'integrazione?

Infine, una domanda: Amara Lakhous come fa ad avere dimestichezza con il siciliano e con il calabrese?