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"Camus nel narghilè" di Grine - In Algeria, un viaggio alla scoperta delle proprie radici nella storia del paese

Autore: Silvia Bellucci
Testata: Poltroneverdi
Data: 17 febbraio 2014

“Il valore di una casa è dato dalle persone che la abitano”, recita così un antico detto algerino, è per questo motivo che in Algeria chi acquista un’abitazione vuole conoscere la storia dei suoi precedenti proprietari.
Allo stesso modo il valore di una nazione è dato dal suo popolo. Nell’epoca moderna i cambiamenti scorrono veloci e si rischia talvolta di perdere i dettagli del reale.  L’algerino Hamid Grine con il suo sesto romanzo, Camus nel narghilè (Edizioni E/O, 2013), racconta attraverso le parole del protagonista  Nabil, la storia del suo paese.
Nabil, cinquantenne professore in un liceo di Algeri, dedito alla famiglia e al suo lavoro, alla morte del padre viene informato dallo zio paterno di non essere veramente figlio del defunto ma  di essere erede illegittimo del famoso scrittore Premio Nobel  Albert Camus. Una notizia per Nabil incredibile quanto difficile non considerare,  da semplice pensiero diviene fissazione. Il tormentato rapporto con colui che fino a poche ore prima credeva suo padre lo porta ora a considerare questa verità con scetticismo e speranza allo stesso tempo. Il professore si mette così sulle tracce dello scrittore Pieds-Noirs e della sua famosa amante algerina.
Il percorso di ricerca che Nabil intraprende lo porterà a ripercorrere la storia della sua nazione, della guerra d’indipendenza attraverso l’epoca post-coloniale fino a giungere alla realtà moderna. Ma chi è veramente suo padre?
La ricerca che Nabil porta avanti sulle tracce di Albert Camus lo conduce, di riflesso, in un percorso introspettivo che farà luce sulle proprie radici.
Con la volontà di scoprire chi fosse il famoso scrittore, il professore, incontrerà un vecchio libraio, un anziano fotografo, un ex combattente che si era battuto per la guerra franco-algerina. E su questa scia, parlando della sua terra, assumerà inconsapevolmente una coscienza morale della sua vita su cui prima non si era mai interrogato.
Sul tragitto si troverà a condividere la ricerca con una bella e giovane collega, una figura femminile romantica e fascinosa, proprio come la bella Algeri che fa da sfondo alla narrazione. Una donna onirica e reale, una visione appannata, come tra il fumo di un narghilè.
L’originalità di questo libro sta nel ripercorrere, nei pochi giorni seguenti alla morte del padre di Nabil, le tappe della storia contemporanea algerina attraverso le due figure del narratore e dello scrittore franco-algerino, una storia che lascia trapelare la nostalgia per il passato e l’irrefrenabile velocità del mondo moderno.
Hamid Grine ci racconta questa storia con la raffinatezza che molte volte solo la semplicità riesce a dare. Il personaggio, coetaneo dell’autore, trasuda sentimenti che solo uno scrittore cosciente e fedele a ciò che gli sta veramente a cuore riesce a descrivere, stessa cosa vale per la descrizione del suo paese.
Algeri è meravigliosa! Le sue luci scintillano come altrettanti diamanti e zaffiri. Viene quasi a dimenticare la sporcizia ripugnante di certi quartieri. Se tutti i gatti di notte sono neri, Algeri è veramente bianca solo con la penombra. Quando si ama questa città come la amo io, bisogna guardarla solo da lontano e solo di notte e da lontano per non essere disgustati. Città abbandonata, trascurata dai suoi abitanti e dai poteri pubblici. Da adolescente insonne trascorrevo ore a fantasticare sulle luci delle imbarcazioni in rada.
Nabil sembra attraversare un sogno per poi risvegliarsi piacevolmente, più consapevole di prima e con una coscienza maggiore di sé. Un percorso introspettivo riportato come un racconto che vale la pena far conoscere per la sua bellezza e perché ognuno di noi in fin dei conti passa i suoi giorni a cercare di conoscersi meglio.