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Il gioco della passione

Autore: Orietta Possanza
Testata: Left-avvenimenti
Data: 18 luglio 2008

Mentre i suoi testi teatrali vanno in scena in tutta Europa, Schmitt torna alla narrazione. Con cinque intriganti racconti sull’amore.

Fata morgana nel deserto, idealizzazione o immaginazione, l’amore cos’è? Mentre sociologi, psicanalisti, filosofi si rompono la testa per comprenderne il senso, poeti e narratori da sempre ne cantano le lodi. Il modo in cui Eric-Emmanuel Schmitt scrittore, filosofo e drammaturgo francese, intende l’amore è abilmente descritto nei cinque racconti che compongono La sognatrice di Ostenda (e/o edizioni), un libro in cui temi come la passione, l’inganno, la cura dalla solitudine e l’attesa sono stati scrutati negli aspetti più nascosti. Il primo racconto narra la storia di uno scrittore approdato sulle rive del mare del Nord per dimenticare un amore finito male. Lì incontra Emma Van A, che gli racconta la sua storia: un unico amore che non ha lasciato posto ad altri. Travolgente e folle da non sembrare vero «A Ostenda, in una sala da tè, - racconta Schmitt – vidi una vecchia signora affascinante vantarsi con degli amici di essere stata amata da qualcuno molto importante di cui non poteva dire il nome. L’ascoltavano con gentilezza, senza crederle davvero. E se fosse vero? Mi dissi. Da lì desiderai scrivere un libro dove il lettore sarebbe stato costretto a chiedersi molte volte, cosa è vero e cosa è immaginato». E se l’amore è passione travolgente, anche fuga per farsi prendere, miraggio per cui l’immagine apparente muta velocemente forma e sembra sempre irraggiungibile, per Schmitt « non è conoscenza, né possesso ma la frequentazione assidua di un mistero, scelta dell’avventura, viaggio per uscire da sé e andare verso la complessità della vita».

Dunque l’amore ha tante facce e non può sicuramente fare a meno di un rapporto tra due persone e di una certa fantasia. Perfino la letteratura per Schmitt è una forma di amore altrettanto vitale: «La letterura è il dominio del mentire-dire il vero, come diceva Argon. Quando ero giovane ero come il personaggio positivista razionalista del racconto Cattive letture che rifiuta la letteratura coma regno dell’arbitrio. Ora ho capito che essa è anche un mezzo per scoprire la realtà nella sua complessità». I racconti fondono leggerezza e gravità, riflessione e finzione fino a farci vedere che molti fatti della vita sono determinati dall’immaginazione come nel racconto La donna col bouquet: da 15 anni, ogni giorno la signora Steinmetz, con un mazzo di fiori arancione, aspetta qualcuno al binario 3 della stazione di Zurigo. Follia o mistero? Anche la semplicità del linguaggio è necessaria per colpire nel segno e andare oltre l’apparenza: «La semplicità è allo stesso tempo un ideale e l’oggetto di un lavoro assiduo, se non fossi chiaro e accessibile, se dietro a qualsiasi storia non avessi una favola che dà un senso, avrei l’impressione di tradire». Quanto lo studio filosofico ha influito sui suoi romanzi?«Credevo che la filosofia mi avrebbe dato accesso alla verità, che mi avrebbe spiegato perché sono nato, vivo, muoio e soffro. Non c’è un’unica risposta. Quella filosofia dava solo delle finzioni esplicative, delle ipotesi. Da allora pensai la filosofia come l’approfondimento di interrogativi, come una ricerca per meglio vivere con se stessi e con gli altri. Così ho ritrovato l’ideale antico della filosofia: la ricerca della saggezza. Quindi la letteratura è divenuta il supporto della filosofia perché rappresentando la vita, rimette le questioni filosofiche nel cuore della vita, nel sangue, nelle emozioni, nella fantasia, nel desiderio. Spesso quando leggo un banale trattato filosofico mi sembra di consumare le ceneri, io preferisco il fuoco».