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Recensione di Piccola osteria senza parole di Massimo Cuomo

Autore: Matteo Cattelan
Testata: Rivista Unaspecie
Data: 23 maggio 2014

La trama: nell’estate del ’94, quella dei Mondiali, a Scovazze (che significa “sporcizia” in friulano), un paesino della più remota provincia nel nord-est italiano densissimo di figure “tipiche” e tragicomiche, ci sono i vecchi fratelli Sorgòn, bestemmiatori incalliti, Gilda la procace e amarcordiana barista che gestisce l’unico bar del paese, Carnera il laconico contadino-operaio, Bepo Basso il pensionato catatonico, Silvana la donna che aspetta gli alieni a Scovazze.

Tutti i paesani vivono in un tempo rallentato, quando accade un fatto eccezionale: giunge un forestiero, per di più “terrone”, che è arrivato per cercare qualcosa o qualcuno. Nomen omen. Si chiama Salvatore Maria Tempesta, e la sua permanenza sconvolgerà gli equilibri del paese, produrrà cambiamenti e soprattutto nuovi contatti tra gli abitanti di Scovazze.

Uno tende a pensare, quando saltano fuori alcune parole e certe immagini ai grandi della letteratura come il García Márquez di Macondo, oppure ai raccontatori della provincia italiana come Benni e Tondelli. Sicuramente qualcosa c’è, tuttavia per descrivere e rendere merito al romanzo di Cuomo ritengo non basti rimanere entro l’ambito letterario. Non si intende naturalmente sminuire le influenze che dei tre scrittori sopra citati si possono riscontrare nelle pagine di Piccola osteria senza parole, tutt’altro. Di Macondo, come dei paesi raccontati da Benni, Scovazze condivide la presenza di personaggi iconici e soprattutto il modo in cui sono raccontati: una divertita ed emotivamente partecipe ironia. Diverso però è lo sfondo temporale: un tempo sfumato e mitico nel caso di Macondo e della provincia emiliana di Benni, ben definito per Scovazze.

Facendo un paragone con Tondelli si può trovare un’eguale interesse per raccontare la devastazione della provincia: una rovina fisica, dei corpi dei ragazzi protagonisti nei racconti di Tondelli, e una più psicologica, o sentimentale, per i personaggi di Cuomo. Una differenza tra Tondelli e Cuomo è che mentre il primo usa un’arte “negativa” per raccontare la sua visione delle cose (con testi che sono un pugno nello stomaco), Cuomo fa proprio uno stile in cui prevale la “leggerezza”, producendo un’arte “positiva” e cionondimeno altrettanto capace di servire nell’impresa di rappresentare una realtà, quella della “periferia”, nel suo complesso. Ecco, “leggerezza” è una parola chiave per tentare di lanciare un ponte verso un altro ambito che non sia quello letterario. E proprio il tema del comunicare, di creare punti di contatto o almeno provarci, è centrale nel romanzo.

A Scovazze il tempo più che fermo sembra moltiplicarsi e andare a velocità differenti. Il tempo degli abitanti della periferia è infatti molto più rallentato rispetto a quello del “centro”: i personaggi hanno preferito mettersi “in pausa” temporale e lasciare che il tempo proseguisse la sua corsa portando quei cambiamenti che loro non riescono ad affrontare o a comprendere. Gli abitanti di Scovazze sono dei relitti temporali e spaziali dell’Italia moderna, forse sconfitti di qualche “guerra” passata (magari proprio quel conflitto sociale e generazionale raccontato anche da Marquez, Benni, Tondelli) ma non per questo vinti, comunque rinchiusi nella loro “Piccola Patria” (si cita qui apertamente il titolo del film di Alessandro Rossetto). Eppure tra questi uomini soli e deboli, proprio grazie all’intervento “dell’alieno” terrone Salvatore Tempesta, ci potranno essere nuovi legami, nuovi contatti, nuova piccola e umana vita.

Ho citato poco sopra il titolo di un film. Quel contatto che si intende proporre è proprio tra questo romanzo e il cinema, o meglio tra Cuomo ed un regista che ha anch’egli raccontato il nord-est: Carlo Mazzacurati. Anche quest’ultimo ha deciso di raccontare le sue storie con calviniana leggerezza, senza rinunciare ad una vena malinconica, tanto che Michele Serra per descriverne la poetica ha coniato il termine “malin-comico”. Un neologismo che si potrebbe tenere a mente mentre si legge Piccola osteria senza parole, un libro che racconta con una “seria” e appassionata leggerezza la vitalità nascosta sotto il mutismo della periferia italiana.