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Una variazione sul tema del "Pasticciaccio di Gadda

Autore: Seia Montanelli
Testata: Stilos
Data: 6 giugno 2006

Si fa presto a dire Gadda. Leggendo Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio (uscito nel 2003 in Algeria col titolo Come farti allattare dalla lupa senza che ti morda per le Edizioni Al-ikhtilaf e poi interamente riscritto in italiano dall’autore e pubblicato ora per le Edizioni e/o), il secondo romanzo di Amara Lakhous - algerino ma romano d’adozione - il paragone con Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana di Carlo Emilio Gadda è sembrato a chi ne ha scritto immediato. A ben vedere però, la mente corre al libro di Gadda più per la palese (e conclamata) ispirazione che ha sostenuto l’autore nello scriverlo che per una reale affinità.

Ambientato in una Roma che sembra Torino - quanto all’architettura e alla disposizione razionale dei palazzi, ma ricorda il caos di Babilonia per il coacervo di nazionalità, colori ed odori che la animano - quel quartiere Esquilino che ruota intorno a Piazza Vittorio Emanuele, punto di ritrovo e luogo di residenza delle comunità di migranti e di profughi presenti nella capitale, Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio sembra una variazione sul tema del Pasticciaccio riguardo l’impossibilità di rintracciare una concezione univoca della verità. In questo senso parrebbe muoversi anche la scelta di rendere, come nel capolavoro di Gadda, quest’irriducibilità ad un unicum attraverso la frantumazione dell’io narrante e il ricorso alla frammentazione linguistica che Amara Lakhous opera nelle sue pagine.

Tuttavia l’adesione alla lezione di Carlo Emilio Gadda rimane in superficie e si esaurisce in una sorta di omaggio, a quello che per Lakhous è stato il primo amore letterario appena giunto nel nostro paese. Il che non è necessariamente un male, anzi, mentre sarebbe scorretto procedere oltre con ingenerosi paragoni. Nel romanzo di Lakhous il tema principale non è infatti la molteplicità del reale, quanto l’incontro/scontro di civiltà che si verifica in un mondo che diventa sempre più piccolo e mobile. Argomento meno filosofico questo, ma più attuale ed aderente ai giorni nostri.

Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio è un libro divertente e svelto, una satira sulla difficoltà di Roma (e dell’Italia tutta) nello scoprirsi multietnica e sui luoghi comuni e l’ignoranza che impediscono di superare la diversità di cui ogni popolo è latore, senza riuscire ad apprezzarla come una ricchezza. _La storia si dipana attorno all’ascensore di un palazzo, oggetto di contese condominiali e lotte per la difesa del territorio dall’invasore, tra le cui porte viene ritrovato il cadavere del poco raccomandabile “Gladiatore”.

I personaggi si succedono sulla scena ed espongono la propria verità come attori di monologhi teatrali. Ognuno ha un motivo per odiare il Gladiatore, lo scopriamo dal racconto degli altri, e tutti credono di aver individuato il proprio uomo, scelto sulla base di sciocchi pregiudizi. Però mentre avanza ipotesi di soluzione al giallo, raccontando la storia quasi come deponesse davanti alle autorità incaricate delle indagini, ciascuno di loro rivela anche drammi, speranze e paure maturati nel quadro di una convivenza conflittuale quanto inevitabile.

Lakhous sceglie di far parlare i suoi personaggi in un dialetto e con inflessioni che ne caratterizza origini e provenienza, sottolineando così che oltre ad un proprio modo di esprimersi, essi portano con sé una logica, una cultura e una visione in conflitto con le altre. Da ciò deflagra proprio quello scontro di civiltà a cui rimanda il titolo del romanzo.

Tutti però - dall’iraniano Parviz che rimpiange la cucina del suo paese e si sente discriminato perché odia la pizza, alla peruviana che trova sollievo solo nella televisione, dal giovane olandese venuto a Roma a studiare cinema con la fissazione del neorealismo alla portiera napoletana pedante e maligna - tutti loro, sono concordi nel ritenere estraneo ai fatti, il maggiore indiziato dalla polizia, Amedeo (il cui diario, dove ricorda anche le drammatiche vicende della storia algerina recente, si alterna alle deposizioni degli altri personaggi) e sopratutto nel considerarlo italiano, perché colto, preparato e disponibile.

Nessuno sospetta invece, ecco un altro pregiudizio, che Amedeo sia in realtà Ahmed: uno straniero, come la maggior parte di loro, e cova un dolore insopprimibile che sfoga nel bagno, ululando.

Lakhous, dal suo punto di osservazione privilegiato in quanto straniero ed integrato, nel tratteggiare con ironia e leggerezza una Roma multicolore che si erge, complessa e bellissima, dal continuo brusio di voci e sonorità che riconducono al mondo intero, indaga i problemi legati all’integrazione e alla convivenza nel nostro paese. Mettendo in scena uomini e donne che si rifugiano strenuamente nell’attaccamento morboso alle proprie origini in una situazione che invece favorisce lo sradicamento, ribadisce con brio e intelligenza che solo dal confronto con l’altro scaturisce una sana riflessione su se stessi e la propria cultura.

Così quell’ascensore al centro di un (micro)scontro di civiltà diventa un’efficace metafora del futuro con cui tutti dovremmo fare i conti: uno spazio angusto ed affollato in cui tutti sono costretti a ritrovarsi insieme e vicine: italiani e stranieri, settentrionali e meridionali, romanisti e laziali, fondamentalisti e laici.