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Piccola osteria senza parole, o dell'importanza dei gesti. A Scovazze e non solo

Autore: Gabriele Ottaviani
Testata: DocuLife
Data: 2 agosto 2014

Salvatore Maria Tempesta arriva guidando la sua Fiat Ritmo cabriolet color amarena col tettuccio in tela nera al confine tra Veneto e Friuli, che per lui è davvero una sorta di pionieristica frontiera come pressappoco, cambiando quel che si deve, doveva essere per chi, a bordo del suo conestoga, se ne andava verso Ovest in cerca di fortuna al tempo del generale Custer o giù di lì. Anche lui è in cerca di qualcosa. Ha in mano una foto smozzicata e pochi altri indizi. Uno su tutti, un campanile.

 

Solo che a un tratto, come si diceva una volta, con rispetto parlando, la natura fa sentire il suo richiamo, e un’impellenza fisiologica lo costringe dunque a fermare la macchina lungo un argine, e a nascondersi tra la vegetazione. Non sa, però, il tapino, che le nutrie, che lui non conosce nemmeno, amano vivere lungo i fiumi, indebolendone le sponde con la costruzione di gallerie: così, l’auto scivola via nell’acqua niente affatto trasparente esattamente come quella di Philippe Noiret in “Speriamo che sia femmina” precipitava nel burrone. Per fortuna, in questo caso, l’occupante non è a bordo. Si trova però con un problema da risolvere: raggiunge il bar, l’unico luogo a perdita d’occhio dove in apparenza sembrano esserci segni di vita, con in mano il Paroliere e la carta igienica, e qui inizia la sua avventura.

Tra giovani che amano scrivere, ostesse felliniane, gelati di cui rimane solo lo stecco di legno, conti che si allungano inesorabilmente, anziani che tirano giù santi e madonne come non vi fosse un domani da ogni calendario possibile e immaginabile al primo sette di denari che non capita al momento giusto o al primo gol preso, coloritissime espressioni dialettali, scherzi feroci, pregiudizi, misteri, squallori e delizie, silenzi, segreti, pettegolezzi, colpe e redenzioni, diffidenze e reciproci slanci di generosità, giganti buoni e macilenti imbranati, tori, sagre e cerchi nel grano, l’odore forte del letame e della campagna e quello delle sigarette e delle carte, il profumo dei pomodori tra cui campeggiano cartelli scritti per gli alieni, slot-machines dai soprannomi improponibili, pensionati a cui la nuova vita va decisamente stretta, Avvocati con la terza media, vino, coltelli, valigette, vetri in frantumi, Lemonsoda e molto altro ancora, va in scena una comédie humaine poetica, tenera ed esilarante, sullo sfondo, dal 17 giugno al 6 luglio, delle prime tre settimane dei mondiali di calcio di USA 1994, quelli del rigore alle stelle di Baggio, delle lacrime di Baresi e della morte assurda del difensore colombiano che col suo sventurato autogol scombinò sine culpa i piani delinquenziali del Totonero. Piccola osteria senza parole, raccontata da Massimo Cuomo per e/o (come sempre, la copertina è semplicemente magnifica) con una scrittura irresistibile, che ricorda le leggiadre atmosfere del bel cinema di Carlo Mazzacurati, è un romanzo delizioso, per il quale non è esagerata la parola capolavoro.