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Da cacciatrice di streghe a vittima - intervista a Tea Ranno autrice di "Cenere"

Autore: ROBERTO MISTRETTA
Testata: La Sicilia
Data: 7 luglio 2006

Se sotto l’ombrellone volete rabbrividire pur leggendo storie di roghi e tenaglie roventi, non perdetevi "Cenere" (Edizioni E/O Pag. 347 € 18), scintillante romanzo d’esordio di Tea Ranno, avvocatessa di Melilli che da dodici anni vive a Roma.

Ambientato nel 1600, "Cenere", arricchito da una magistrale scrittura, racconta di come la perfida Stèfana Maria Giuseppa Alibrandi, contessa de’ Vespertitii e signora di Monfalco, manda sul rogo la leggiadra sguattera Caterina, per mero capriccio. Recatasi presso la chiesa de’ Santi Decapitati, vittima di allucinazioni da intossicazioni da funghi, viene molestata da un caprone che scambia per il dimonio. Sconvolta e brutalizzata, si ritira nella torre mentre il ducato è preda di sciagure e il popolino la addita come strega. La solitudine, i libri proibiti dall’Inquisizione e la nuova maternità, cambieranno profondamente la perfida Stèfana, e proprio quando prenderà coscienza e si stranierà da quel mondo ipocrita e corrotto di cui faceva parte, sarà mandata al rogo.

Un libro corposo, pregno d’atmosfere e suggestioni che marchia il lettore come ferro rovente. Abbiamo intervistato l’autrice.

- Quale la genesi di "Cenere"?

«Il romanzo è nato dalla elaborazione di un racconto di appena cinque cartelle, scritto di getto dopo aver letto "La strega e il capitano’ di Sciascia. Mi è venuta una rabbia fortissima e il desiderio di vendicare Caterina. Così è nata Stèfana, una persona appartenente alla stessa classe di coloro che uccidono Caterina, un essere terribile da poter mandare ’tranquillamente’ al rogo. E così sarebbe stato se, mano a mano che ho cominciato a frequentarla, non mi fossi affezionata a lei».

- "Cenere", per l’accurata ricerca del linguaggio e l’ambientazione storica, si incunea nella filone della letteratura impegnata.

«Ho consultato tutto quello che ho avuto a disposizione su diavoli, streghe, stregoni, sabba. Ho lavorato moltissimo sul linguaggio. Ho cercato di esprimere, anche attraverso il tipo di narrazione e i dialoghi, un mondo che è un unicum, che compendia ogni luogo, perché in ogni luogo è possibile che l’istinto prenda il sopravvento sulla ragione e la superstizione diventi il motore per azioni inqualificabili».

- Quale il messaggio di fondo?

«Il mio intento è stato quello di dimostrare, attraver- so la redenzione di Stèfana, che a tutti deve essere data la possibilità di cambiare, perché tutti, per una ragione o per un’altra, possiamo d’improvviso smettere di essere quello che siamo e ritrovarci altri».