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Amicizia e tradimento a Roma nel '43

Autore: Paolo Di Stefano
Testata: Corriere della Sera
Data: 9 ottobre 2014

E' incredibile quanta materia Lia Levi riesca a condensare dentro i suoi romanzi. Ed è ancora più incredibile la leggerezza con cui sa trattare questa materia densa e a tratti incandescente. Il braccialetto, il suo nuovo racconto lungo, è un bellissimo libro che intreccia la vicenda di un’amicizia difficile, la ricerca di due diverse identità di ragazzi (Corrado e Leandro) con un breve, ma cruciale, tratto di Storia italiana ed europea. Si va dal 25 luglio 1943 all’entrata dei tedeschi a Roma. La mano lieve di Lia Levi riesce, come sempre, a restituire l’orrore dei ciechi tempi attraverso le pieghe della quotidianità di gesti e sentimenti, facendone percepire tutta la verità e persino l’oscura normalità.
Corrado ha 15 anni, ha vissuto attivamente la notte della distruzione dei busti di Mussolini e dei fasci littori. Da ebreo si augura che sia l’inizio della fine dell’incubo: spera che presto vengano abolite le leggi razziali; aspira a passare, l’anno prossimo, dalla scuola ebraica al Liceo Visconti, l’istituto pubblico. Ma i giorni passano e nulla accade. Lui, ribelle, sente un sordo rancore per i due genitori, così sottomessi al peso degli eventi, ancora ligi e timorosi, forse posseduti da un vago e inspiegabile senso di colpa. Corrado vive un’età di insofferenza e di orgoglio che non ammette cedimenti e che lo porta a maturare una sorta di superiorità altera soprattutto verso suo padre, in cui non riesce a riconoscersi. Esce in piazza, frequenta le strade e i movimenti, mentre la prudenza paterna, che lui scambia per viltà, lo vorrebbe più cauto e attento alle amicizie e agli incontri.
Un tardo pomeriggio, al cinema, viene avvicinato da un coetaneo, un bel ragazzo pallido, dalla capigliatura nera e disordinata: è Leandro, una personalità apparentemente spavalda, ma insoddisfatta (soprattutto di sé) per ragioni speculari a quelle di Corrado. In questa specularità si gioca la loro complessa relazione, destinata a diventare amicizia quasi esclusiva. Mentre la famiglia di Corrado fatica a campare, Leandro abita in una casa principesca con una vecchia prozia russa: mentre il primo sa quel che vuole ed è impaziente di conquistarlo, l’altro è alla ricerca di un’identità e non possiede neppure radici da contestare. Ammira Corrado, al punto da desiderare di essere ebreo come lui, ma l’altro non ne accetta l’ammirazione scambiandola per una forma più dolce di razzismo.
Buona parte del romanzo trascorre nell’attesa che qualcosa accada, vi aleggia un senso di sospensione terribile, tra ottimismo e cattivi pensieri, soffocata nella apparente e forzata normalità. Quel che matura, se non altro, è il rapporto di amicizia tra i due ragazzi così diversi. Il pregio di Leandro è l’intelligenza creativa coniugata con l’ostinazione: vuole che sia Corrado a dargli le ripetizioni di latino e greco in vista degli esami di riparazione e ci riuscirà. Lo farà entrare nel suo appartamento nobiliare, dove incontrando la vecchia prozia l’amico comincerà a cogliere inquietanti segnali sul destino degli ebrei.
Quando le cose precipitano, di colpo, il braccialetto della madre di Corrado, che finora è apparso scintillante qua e là come una madeleine, diventa il motore del racconto, ma in absentia. I tedeschi chiedono agli ebrei di Roma 50 chili d’oro in trentasei ore in cambio della vita e con il terrore di essere vittime di un inganno, gli abitanti del quartiere si danno disperatamente da fare. È a quel punto che Corrado si ricorda del braccialetto, «simbolo dell’epoca tintinnante» di sua madre. Ma il braccialetto non c’è, i genitori in difficoltà hanno venduto quel prezioso amuleto che rappresentava tutta la storia della famiglia. Per Corrado è un tradimento. Le cose presto si capovolgono: del resto, la tragedia, con le sue meschinità e i suoi eroismi, ha sempre un rimbalzo nei romanzi di Lia Levi. E il lettore, nelle ultime pagine, precipiterà nella stessa vertigine in cui cade Corrado.