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Maugeri, la Sicilia che vorrei

Autore: Eliana Camaioni
Testata: Centonove
Data: 30 gennaio 2015

Miti classici e radici antropologiche diventano spunto per raccontare magistralmente "la porta socchiusa dell'occidente" tra torpore endemico, gente debole e mediocri "rintanati in una furbizia spicciola"
Come fare a raccontare la propria terra, la Sicilia, senza cadere nel cliché della sicilitudine? Come fare a rappresentarne, soprattutto a chi siciliano non è, le sue storture, le sue bellezze, i suoi contrasti, e quel particolare stato d’animo dei suoi abitanti, che la odiano e la amano al contempo? Ci riesce, Massimo Maugeri, nel suo Trinacria Park (ed.E/O), avvalendosi dei miti classici ma soprattutto delle radici antropologiche che di quei miti costituiscono l’essenza, e diventano linguaggio universale. Maugeri lo fa sin dall’ambientazione del suo noir: teatro degli avvenimenti è infatti Montelava, un’isola immaginaria a largo delle coste catanesi, tricuspide come la Sicilia, e che della Sicilia viene trasformata in un doppio artificiale, con una gigantesca operazione commerciale di quelle che solo in Sicilia si sanno fare, ad opera di imprenditori che lucrano denaro pubblico con complicati project financing e poi li abbandonano incompiuti, ma non prima di aver conseguito il proprio programmato tornaconto.
Maugeri rappresenta quindi una realtà mettendo in scena il suo doppio, come facevano gli antichi drammaturghi, che per il tramite del mito (un doppio rovesciato della realtà) portavano in scena le angosce dell’Atene del V secolo, consegnando allo spettatore un microcosmo perturbante, preda del caos, dove ogni cosa si elevava a simbolo e metafora della realtà da rappresentare. Così lo spettatore-lettore di Trinacria Park avrà dinnanzi una copia in piccolo della Sicilia odierna, “una terra violentata da secoli”, abitata da un popolo in preda ad un “torpore endemico”, un “popolo debole”,  “abituato ad essere soggiogato”. E’ “la porta socchiusa dell’occidente: terra di mezzo, e la terra di mezzo è terra di nessuno”, abitata da “chi ha rubato e chi è stato derubato, da chi ha imbrogliato e chi si è fatto imbrogliare”. E la stessa dualità fra carnefici e vittime, a Montelava come in Sicilia, è possibile in quanto il siciliano è “rintanato in una furbizia spicciola”: è una figuretta mediocre, che “si accontenta di piccole pacche sulla spalla, tentando di portare avanti micragnosi progetti individuali”. Pensando di essere furbi, i siciliani si svendono per poco, come dei veri idioti, ai “centri di potere che fanno il bello ed il cattivo tempo, nascondendosi dietro grandiosi progetti di facciata”, come la creazione del Trinacria Park, una mega Eurodisney siciliana dai monumenti di plastica, i centri benessere e gli alberghi a quattro stelle, ai piedi di un finto vulcano Etna fedelmente riprodotto, con tanto di eruzione comandata.
Tutta la narrazione è dominata dal campo semantico dell’alterità e dei suoi simboli (il doppio, lo specchio, l’occhio): in un’equazione perfetta, a Montelava ogni cosa è se stessa e il suo contrario, è ciò che è e al contempo ciò che finge di essere, è seduzione e perdizione, eros e thanatos. Dualità che anche i personaggi principali recheranno in sé: Manuel Vetri, attore balbuziente e fallito, che piange “lacrime asciutte”  e urla “grida silenziose”, al quale non resta che “recitare per vivere”, o come lui stesso precisa, recitare di vivere; Monica Green, manager italoamericana del Parco, che sente di essere “l’avatar del suo avatar”; Mauro D’Andrea, aiuto regista, dalla personalità doppia come i suoi occhi inquietanti, uno di colore diverso dall’altro; Marina Marconi, giornalista, dilaniata dal dover decidere se “flettersi alla vita” o seguire i propri sogni.
La figura della Gorgone (immagine mostruosa della morte, dell’alterità esistenziale, del caos, e del non-essere) farà da liaison a tutto il romanzo, utilizzata come trovata pubblicitaria grazie ad un (falso) manoscritto antico (falsamente) rinvenuto a Trinacria Park e declinata nelle sue tre figurazioni (Medusa, Euriale, Steno), legate ai caratteri somatici e psicologici delle tre protagoniste e all’anima della Sicilia stessa, che sa essere al contempo forte e grandiosa, ma anche mortifera e distruttrice.
All’epidemia finale, che decimerà la popolazione di Trinacria Park giusto il giorno della sua inaugurazione, sopravviveranno in pochissimi, esattamente come pochissimi Siciliani sopravvivono alla Sicilia. Saranno coloro che per natura sanno fingere, e come le palme ‘si spezzano ma non si piegano’; coloro che sanno sopravvivere alle tragedie della vita, gettando in mare i propri fantasmi; e tutti coloro ai quali la vita ha insegnato a sapersi flettere, rimanendo fedeli alle proprie radici, senza lasciarsi vincere da vani sogni di gloria.