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LE INDAGINI DEL TENENTE ROCCO LIGUORI PARTONO DALL’ASPROMONTE

Autore: Cristina Marra
Testata: Interprete Sopo
Data: 10 febbraio 2015

Col noir “Undercover” (edizioni e/o) sui traffici di droga e gli agenti sotto copertura fra la Calabria e il Messico, lo scrittore pugliese Roberto Riccardi (in foto) si aggiudica il premio “Azzeccagarbugli” e fa esordire il suo detective, Rocco Liguori, tenete dei Carabinieri di origini calabresi. Liguori diventa protagonista di una serie arrivata al terzo episodio che uscirà in libreria a metà febbraio. Riccardi, colonnello dei Carabinieri e direttore della rivista “Il Carabiniere” non nasconde nella sua narrativa il forte legame col Sud. Pugliese, ha nelle vene anche sangue calabrese e con Liguori, dall’Aspromonte parte il riscatto per una terra troppo spesso maltrattata.
Che rapporto ha Liguori con la Calabria?
«Liguori nella finzione letteraria nasce in un paesino sull’Aspromonte, dove cresce a contatto con altri bambini che sono su piani di vita diversi. Mentre lui per tutti è “il figlio del maresciallo”, infatti, il suo migliore amico Nino Calabrò ha un padre affiliato alla ’ndrina locale. Un’infanzia particolare e contrastata, che lo spingerà a una forte volontà di riscatto per una terra che vede oppressa dalla criminalità organizzata. Il primo romanzo della serie dedicata a Rocco, Undercover, si apre proprio con lui e Nino bambini, che giocano con un pallone improvvisato nella piazza del paese, inconsapevoli della barriera insormontabile che li divide. Si ritroveranno da adulti sui fronti opposti di una guerra quotidiana e senza esclusione di colpi: quella fra le forze dell’ordine e i narcotrafficanti».
Nei tuoi noir il Sud è molto presente. Anche nel prossimo ci saranno ambientazioni meridionali?
«Il prossimo romanzo, che si chiama La firma del puparo ed esce l’11 febbraio, vede tornare Nino Calabrò, assente nel secondo capitolo Venga pure la fine. Il giovane, che ha appena avuto il primo figlio maschio, stavolta è nei difficili panni del pentito e, in tale veste, apre squarci impressionanti sulla collaborazione delittuosa fra la piovra calabrese e la consorella siciliana Cosa Nostra. Un rapporto storicamente accertato, poco visitato dalla cronaca e dalla narrativa contemporanea».
Hai lavorato in Calabria. Che ricordo hai di questa regione?
«In realtà ho anche un quarto di sangue nella regione: il mio nonno materno era di un paese piccolissimo chiamato Pizzoni che nessuno conosce, dove è pure sepolto. Io ho lavorato in Calabria dal 1994 al 1999, al comando prima di una Compagnia carabinieri e poi di un Nucleo investigativo provinciale. Sono stati cinque anni intensi, sulle tracce della ‘ndrangheta ho girato moltissimo: dalla Germania al Brasile, dal Nord Italia alla capitale. Mi sono occupato di omicidi, estorsioni, grandi appalti, latitanti. Conservo ricordi intensi e meravigliosi che spaziano dal mare alle montagne, dalla gioia al dolore, dalle soppressate ai tartufi di Pizzo. Ho legami di affetto, con la terra e con tante persone incontrate lungo il cammino, che non potranno mai estinguersi»