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E l'Alligatore finì nella palude della finanza

Autore: Alberto Pezzini
Testata: Libero
Data: 31 marzo 2015

L’Alligatore e ̀tornato, viva l’Alligatore.
Massimo Carlotto, giallista, una dolorosa e digerita esperienza carceraria riversata nei suoi libri, ha ripreso Marco Buratti (il primo libro, La verità dell'alligatore è del 1995), un investigatore senza licenza quasi antico, il «pacificatore» di un mondo lontano fatto di blues, calvados (anche il suo aperitivo di battaglia si chiama alligatore) e tanta malinconia per una mala che non tornerà più perché rispettosa di certe regole del gioco. Questa volta Buratti deve giocare contro un altro personaggio storico della famiglia Carlotto, quel Giorgio Pellegrini di Arrivederci amore ciao (da cui l’omonimo film di Michele Soavi nel 2005), insuperato ancora ad oggi per ferocia e pravità morale. Se si legge La banda degli amanti (E/O, pp.208, euro 15), si sente un libro non soltanto diacronico, ma dotato di due registri distanti anni luce: quello di Buratti e del suo fido amico Beniamino Rossini, fatto di rispetto del debole, e munito di un frasario quasi accattivante, l'altro, quello di Pellegrini, una specie di muro di cemento armato 2.0, dove anche le parole fanno male.
«Non a caso Giorgio Pellegrini è considerato il grande bastardo del Noir italiano», ama sottolineare Carlotto. L’occasione dello scontro è il sequestro a scopo di lucro di due amanti, ed anche questo è il segno del cambiamento dei tempi. Oggi nessuno è più al sicuro da occhi indiscreti, da fotografie compromettenti scattate con un semplice telefonino, e magari una storia d'amore clandestina diventa un'occasione per venire ricattati da chi non si fa scrupoli ad infilarsi nella tua vita per fare denaro. Se si domanda a Carlotto cosa sia la criminalità oggi, non ha esitazioni: «La criminalità si è resa conto che tre sono le fonti di sostentamento principale: la politica, la finanza e l’economia. Il volano dell’economia è diventato il nero, il riciclaggio di denaro sporco. Si tratta di dati incontestabili quelli per cui il 30% del PIL italiano sia fondato sul nero, così come l'Italia sia al quarto posto nel mondo per il riciclaggio di denaro, dopo Isole Cayman, Stati Uniti e Russia».
Il che fa pensare subito a certi meccanismi criminali di natura economica che vengono scarsamente trattati dai media: «Se ci pensi, del riciclaggio di denaro sporco si parla davvero poco. È più facile prendersela con il migrante e chiudere tutti e due gli occhi su certi fenomeni. Ti cito soltanto alcuni dati ufficiali delle Nazioni Unite. Esiste una massa di contante che deve essere ripulito ogni anno. Parliamo di qualcosa come 10.000 miliardi che derivano dal traffico di droga, dalla prostituzione, dal gioco d'azzardo. Ed è un vero e proprio fiume di denaro che necessita a tutti i costi di venire reimmesso dentro la società in una forma pulita». Come funziona più precisamente questo meccanismo esplosivo?
«È molto facile per la mafia in generale assicurarsi il riciclaggio. Basta individuare gli anelli deboli della società, o certi strati in affanno del tessuto sociale. L'introduzione avviene così, per contagio. Se pensi che il nostro è un paese corrotto, dove la corruzione resta la vera cinghia di trasmissione del malaffare, capisci subito come tutto ciò possa accadere impunemente sotto i nostri occhi». Ti domandi anche come si possa fermare un fenomeno così dilagante e cancrenoso: «Non lo so, ma bisogna fermare la corruzione».
Sorge subito la domanda se possa essere considerato soltanto qualcosa di tipico della mafia italiana: «No, nel modo più assoluto. Sai quante mafie ci sono? C’è la mafia turca, quella cinese, la maltese, la serba e quella russa, e tutte possiedono un loro territorio ben preciso ma il meccanismo di reimpiego del denaro sporco resta sempre uguale». Alcuni anni fa era stato pubblicato un libro sulla 'ndrangheta che si intitolava Alveare (Giuseppe Catozzella), e forse oggi ci siamo dentro fino al collo, in un alveare fatto di tante piccole celle di cui non intravediamo le sbarre ma il cui puzzo dovrebbe salirci alle narici, come l'olezzo che emette un personaggio come Pellegrini. Ma come si fa ad ideare un personaggio così laido ed a scriverne?
Ci chiediamo e lo chiediamo allo scrittore se non sia davvero faticoso partorire uno così, anima prava alla deriva: «Sì, è faticoso, certamente, ma resta un bell’esercizio di stile per me. Lo sai inoltre che Pellegrini ormai conta una schiera di fan accaniti?».
In effetti, rispetto al classico Alligatore, il vecchio pistolero che beve calvados e ascolta blues, sembra di essere catapultati in una dimensione spaziotemporale diversa. Nessuna cortesia all'uscita, signori.