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“Voglio la tua testa su un piatto”. Il pulp italiano di Matteo Strukul

Autore: Edoardo Rialti
Testata: Il Foglio
Data: 23 aprile 2015

Gli autori che preferisco sono quelli intelligenti: non perdono tempo a tentare di dimostrarti quanto sono bravi, perché non ne hanno bisogno. E Matteo Strukul non ne ha bisogno”, ha detto di lui un vecchio re del noir e del fumetto come Victor Gischler. Fondatore di “Sugarpulp”, che ambisce dimostrare come “il nord est non sia più un paese per vecchi”, Strukul ha scelto appunto il suo Veneto per raccontare thriller ottocenteschi ma anche una moderna cacciatrice di teste dai capelli ferocemente rossi, Mila. E’ così possibile leggere di scazzottate ed “esplosioni che si sentono fino a Rovigo”. E perché no? Perchè solo El Paso o Los Angeles dovrebbero arrogarsi le ambientazioni noir o pulp? Il suo ultimo romanzo, “Cucciolo d’uomo” (è uscito ieri), volutamente riecheggia Kipling: stavolta la giovane lupa Mila dovrà difendere un bambino africano cui “qualcuno o qualcosa ha rubato la voce” da tigri e serpenti tanto micidiali quanto inaspettati, in un caccia-fuga che espone il lettore a “vasche piene di sangue” per ricattare col vodoo i piccoli schiavi, ma anche a momenti di dolorosa tenerezza, e altri di divertito umorismo nero: “‘Il legame fra economia legale e illegale è indissolubile, si tratta di un intreccio che non può essere più sciolto, è il nodo di Gordio’. ‘Ma Alessandro Magno c’è riuscito. E per farlo ha usato una spada’”. In costante, esplicito dialogo con il lettore, che quel viaggio lo completa, accogliendolo, e a cui la guerriera si rivolge direttamente: “Perché è la religione delle storie che mi tiene in vita, è la fede in una fiaba che non comincia con ‘c’era una volta’ perché vive del qui e ora ed è quella che scriviamo insieme, e si perpetua in un patto fra noi, e quello che dirai alla fine per me sarà importante, sarà così importante che magari la prossima volta potrai esserci anche tu insieme a me”.
Abbiamo chiesto a Strukul se anche lui ritenga che un romanziere debba anzitutto conoscere la propria regione, per affacciarsi sul mondo. “Quando hai alle spalle l’eredità artistica e culturale della Serenissima non c’è proprio partita. Oggi in Veneto abbiamo oltre 400 teatri: la metà di tutti quelli della Francia”. Nella “texture pericolosissima” di tante piaghe sociali e criminali “Mila è arrivata a modo suo: come una cometa che si schianta in un vigneto. L’ho cercata a lungo e poi un giorno, semplicemente, era lì. E io non riuscivo più a liberarmene, nemmeno volendo. Restavo a guardarla”. Alla protagonista si chiede: “Cosa vuoi”, e lei risponde sorridendo: “La tua testa, e la voglio su un piatto.” Il mondo pulp (cinema, narrativa, fumetti, videogiochi) viene spesso accusato di istigare alla violenza. Cosa rispondere? “Penso all’Elettra di Sofocle o al ‘Macbeth’ di Shakespeare o ancora a ‘I masnadieri’ di Friedrich von Schiller: tragedie nerissime e sanguinarie. Sono istigazioni alla violenza? Di cosa stiamo parlando?”. C’è però una qualche responsabilità etica, anche nello scrivere un’avventura? “Certo, molti diranno: ‘Ehy è solo un romanzetto pulp!’ Verissimo, però tutto quello che racconto è basato su fatti di cronaca, fonti reperibili e documentabili. D’altra parte credo che il pulp abbia molto da dire. Lo ha sempre avuto. L’Iliade di Omero è pura pulp fiction”. Ma “allo stesso tempo, mentre fai del tuo meglio per provare a istillare gocce di verità nella storia che racconti, non puoi nemmeno prenderti troppo sul serio: sarebbe presuntuoso e folle. Come diceva Charles Bukowski: “Non mi interessa salvare le balene” ma non è nemmeno il mio compito. Per questo ancora una volta il pulp è perfetto: il parossimo, l’esagerazione, lo sberleffo che lo caratterizzano permettono di evitare di prendersi troppo sul serio e in Italia ne abbiamo un maledetto bisogno. Sta proprio in quel maledetto “prendersi sul serio” che riusciamo a evitare pervicacemente di fare davvero sul serio”. Come si scrive una sequenza d’azione che funzioni? “Lavorare sui dettagli – spiega Strukul – Avere una profonda consapevolezza delle inquadrature. In questo senso è imprescindibile, a mio avviso, studiare a fondo le sequenze dei film e quelle dei videogame, è utilissimo aver sceneggiato fumetti, e avere idee precise su calibri e modelli di armi, sulle dinamiche, sugli effetti delle azioni”. Ma per scrivere occorre sempre “nutrire l’immaginazione, fondere i linguaggi del cinema, del fumetto, del videogame con quelli del teatro e del giornalismo e della poesia, poichè è nella consapevole conoscenza degli strumenti che sta la meraviglia e lo specchio del tempo e perché sarebbe molto povero e arrogante, in termini di lingua di scrittura, pensare di poter comporre storie nere senza aver mai letto Marlowe o Sofocle, Ibsen e Maupassant”. E poi bisogna liberarsi dell’idea di essere degli artisti, conclude: “Devi imparare a scrivere per le riviste, la televisione, il fumetto, i giochi di ruolo, e ogni volta sono codici nuovi da mandare a memoria, ma se hai basi solide puoi farcela e divertirti come un pazzo. Perché, quando hai capito che è soprattutto divertente, non ce n’è per nessuno”. (4. continua)