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Geniale questa autrice

Autore: Daria Bignardi
Testata: Vanity Fair
Data: 15 maggio 2015

Io allo Strega la voto: lei, Fabio Genovesi e Zerocalcare, quest'anno si devono dare tre voti.E secondo me vince lei, Elena Ferrante, l'autrice assente.
Il vero mistero italiano non è chi sia Elena Ferrante ma come faccia a tenere nascosta la sua identità anche ora che con Storia della bambina perduta, quarto e ultimo volume della saga dell'Amica geniale (Edizioni e/o), è diventata un'autrice di bestseller. Mi sono fatta l'idea che abbia un caratteraccio, uomo o donna che sia, e che il suo editore sia terrorizzato dalla probabilità che se viene scoperta lei smetta di pubblicare. Lo ha dichiarato, e sembra capacissima di farlo. Ho raccontato settimane fa su Vanity Fair quanto mi siauta i quattro volumi dell'Amica geniale e quanto mi siano mancati i suoi personaggi quando li ho finiti: Lila, Lenù, Enzo, persino quel figlio 'e'ntrocchia di Nino, il bel traditore. Ora che è trascorso del tempo, il gusto che rimane in bocca, ripensando alla storia delle due amiche Elena e Lila e delle loro famiglie, è un gusto amaro. Non c'è un grammo di consolazione né di redenzione in Elena Ferrante e credo che metà del suo fascino si basi su questo come nella serie Gomorra tratta dal libro di Roberto Saviano, tra l'altro il primo a proporre la candidatura della Ferrante al più importante premio italiano-,un sasso nello stagno intelligentemente raccolto dai suoi organizzatori e un'occasione unica per rilanciarlo, acchiappando con una fava parecchi piccioni: un libro irresistibile in gara, curiosità rinnovata e la prova che non solo i grandi editori ce la fanno.
Ci sarà da ridere, se a luglio la Ferrante vincerà. Bruno Vespa chi intervisterà? Chi brinderà col liquore Strega in assenza dell'autrice? E gli altri concorrenti, costretti a estenuanti presentazioni e convenevoli, come reagiranno? Sicuramente ostenteranno fair play, ma dentro di loro cosa penseranno? Nelle poche interviste che ha concesso via mail, Elena Ferrante corrisponde all'idea che mi sono fatta leggendola: una settantenne che ha vissuto in pieno il Sessantotto e ne è in qualche modo imbevuta. RtJvida e rigorosa, è sicuramente cresciuta a Napoli negli anni Cinquanta, ha studiato alla Normale di Pisa, conosce molto bene il mondo editoriale. Ho ancora dubbi sul sesso: leggendo di come Elena detta Lenù, l'io narrante che ha sicuramente molto a che vedere con chi l'ha creato , trascurava le figlie piccole, avevo sospettato fosse un uomo, ma poi ho pensato che nel Sessantotto per molte donne poteva essere come per Elena. C'erano cose importanti da fare allora: la rivoluzione hai detto niente , lo dichiaro senza nessuna ironia e anzi con un poco d'invidia. Noi primipare attempate che abbiamo avuto i figli nel secondo millennio piuttosto che trascurarli ci facciamo venire la depressione o qualche altra brutta malattia, ma facciamo danni comunque: negli anni Settanta le donne facevano i figli presto, e soprattutto quelle politicamente impegnate li crescevano spicciamente, senza troppe storie, e qualcuno di loro veniva anche bene. Come ho già scritto, non sono molti i libri italiani contemporanei che ti fanno smaniare dalla voglia, di tornare a casa a leggere. Quando ho chiuso l'ultimo libro ero smarrita: «E adesso? Come faccio senza Lila e Lenù? Come farò senza Napoli, senza quel linguaggio feroce? Senza la famiglia Cerullo e la famiglia Greco, senza Enzo forse l'unico personaggio positivo -, senza Nino, così vivido che mi sembra di conoscerlo, senza quei delinquenti dei Solara e quei noiosi degli Airota?... Lila, l'amica geniale, così estrema da far paura. Elena Lenù la sgobbona, tanto insicura eppure così determinata. Così sola, anche lei, come Lila: cresciute per strada, soffocate da famiglie difficili, circondate da amicizie strettissime, protette da tutto il rione, eppure sole».
Non sono l'unica ad aver provato quella sensazione di Nsmarrimento e dipendenza: ne hanno parlato in questi termini anche il New York Times, il Wall Street Journal e il New Yorker, oltre ai lettori e soprattutto alle lettrici di tutto il mondo che da setta carbonara in questi mesi sono diventate un esercito. Ed è forse la solitudine, la terribile solitudine di Elena e Lila la cosa che le accomuna alle donne di ogni generazione. Puoi reagire nel modo che vuoi, ma non è facile per nessuna conciliare una qualunque vocazione o inclinazione con i doveri imposti dalla famiglia che ti ha generato e con quella che ti sei scelta. La tetralogia dell'Amica geniale diventerà una serie televisiva e ha tutte le carte in regola perché sia una serie irresistibile, a cominciare dalla sceneggiatura firmata Francesco Piccolo: personaggi negativi, intreccio serrato di parentele e amicizie, matrimoni, figli, tradimenti, separazioni. E, soprattutto, il riscatto sociale della protagonista Elena, come in ogni romanzo di formazione che si rispet-
Chissà se per allora Ferrante avrà vinto lo Strega. Sicuramente continuerà a vendere molto, perché ormai, che le piaccia o no, sta diventando un caso editoriale, come quello di Eco negli anni Ottanta o di Susanna Tamaro negli anni Novanta. Diventare un caso editoriale può essere un'esperienza molto difficile per un autore: ma se sei protetto dall'anonimato magari sarà meno devastante, chi lo sa. I motivi per i quali Ferrante non vuole rivelarsi possiamo solo supporli anche se a dire la verità lei li ha spiegati in un'intervista rigorosamente via mail e tramite editore a Simonetta Fiori di Repubblica: «La letteratura non ha bisogno di una facci<l;», ha detto più o meno, citando immodestamente Williàm Shakespeare.
Io, che cerco il fattore umano in ogni cosa, trovo questa scelta a meno che non sia funzionale a coprire l'identità di un autore già conosciuto piuttosto comoda. Niente domande indiscrete, niente promozione, nessun bisogno di giustificare una conoscenza tanto precisa e approfondita di sentimenti poco nobili ed edificanti: insomma, libertà. Che però ha un prezzo: non incontrare mai lo sguardo del tuo lettore, non condividere mai la luce che passa in quello sguardo che ha trascorso ore là dove tu hai passato mesi o anni, in quello stesso mondo, in quelle stesse profondità, in quelle fantasie , in quel viaggio .
È un prezzo altissimo, secondo me. Ma io sono di un'altra generazione, una generazione di individualisti affamati di condivisione.