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«Il Sudafrica dei delitti dentro una bottiglia»

Autore: Alberto Pezzini
Testata: Libero
Data: 8 agosto 2015

È un romanzo dove ogni proiettile ha una storia da raccontare. È l’ultimo libro all’adrenalina liquida di Deon Meyer, sudafricano, e si intitola Cobra (nella traduzione dall’inglese di Nello Giugliano, E/O, pagg. 392, euro 16,00), un’altra scorribanda in Sudafrica per l’ispettore alcolizzato Bennie Griessel. Un cittadino britannico sparisce all’improvviso ed i cadaveri delle sue due guardie del corpo vengono rinvenuti nell'erba falciata di fresco, lordi di sangue. L’ispettore Bennie trova sul luogo del delitto un unico indizio rivelatore: i bossoli portano inciso nel metallo la testa di un cobra. Nel frattempo, a Città del Capo, un giovane borseggiatore negro che sfrutta il suo talento naturale per pagare gli studi alla sorella, viene fermato dai vigilantes del centro commerciale dove aveva effettuato l’ultimo colpo. Mentre lo stanno interrogando, irrompe un killer che li fredda senza pietà. Quando la polizia interverrà, anche sul luogo di questo delitto troverà i bossoli con il cobra inciso nel metallo. Inizia da qui un intreccio che porta all’infarto se non state attenti a centellinare il libro come si deve per evitare l’extrasistole. Deon Meyer ha già venduto più di due milioni di copie nel mondo con le avventure del suo Ispettore e delle sue bottiglie.

Perché ha scelto un poliziotto alcolizzato come protagonista dei suoi libri?
«La scelta che ho compiuto non è stata a caso. Non si tratta di un clichè, o meglio il clichè adottato non è senza valore. Ero stufo, stufo dei soliti poliziotti che alla fine sembrano tutti uguali e si assomigliano fino a perdersi in un mare di uniformità e di melassa. Una malattia per me è un dono, o almeno qualcosa che aggiunge spessore e sostanza ad un personaggio. Così è stato».

Lei è stato un manager della BMW. Non ne sente nostalgia ? Cosa le è rimasto addosso della sua vita di uomo d’affari?
«A me piace scrivere. A 9 10 anni mi ricordo di essere stato seduto sui gradini della biblioteca con un libro in mano. Il pensiero era quello di poter un giorno scrivere un libro in grado di rapirmi come quello che avevo in mano. Della BMW mi mancano soltanto le motociclette che adoro. Insieme al rugby, al cinema ed alla cucina italiana sono le uniche potentissime passioni della mia vita. Dopo i miei quattro figli, ovvio».

Scusi, ma lei beve? (Sorride)
«No! Qualche bicchiere di vino o birra ma niente di più. Il Villafonte, che è un vino rosso, il mio preferito».

Lei lascia sempre uno spazio assai generoso alla natura rigogliosissima del Sudafrica nei suoi libri. Possiamo dire che sia una specie di deuteragonista. Mi dica qual è il suo animale preferito?
«Il tasso. Sembra molto coccoloso ma è un animaletto molto tenace, che non molla mai ed affronta ogni battaglia con un coraggio ed una determinazione impensabili. A proposito, un tasso può anche uccidere un cobra».

E degli spiriti che aleggiano nei suoi libri che mi dice? La sua è una scrittura animista, guidata da qualche soffio soprannaturale ? E lei quando scrive , a proposito?
«Gli spiriti sono una componente fondamentale dei miei libri e della mia cultura, anzi della nostra cultura. Diciamo che la nostra filosofia di vita è improntata a tale tipo di credenza. Uburtu è una parola significativa che indica la nostra umanità, il nostro essere terreni, ad essere precisi si può tradurre con un siamo persone attraverso altre persone. Scrivo all’alba quando gli altri dormono e ho bisogno di scrivere rigorosamente al buio».

Qual è il suo spirito preferito?
«Si chiama Tokalosc, ed uno dei più birichini perché opera per conto degli spiriti cattivi. È lo spirito che porta il caos. Lei capisce che per uno scrittore il caos è tutto, o almeno qualcosa di maledettamente salvifico».

Quanto è cambiato il Sudafrica dai tempi di Mandela e da quando avete vinto la coppa del mondo di Rugby con una squadra di soli bianchi come nel film con Matt Damon?
«Noi la coppa del Mondo l’abbiamo vinta due volte, nel 1995 e nel 2008! Non è cambiato niente, anzi tutto e niente. E' rimasta la corruzione e l'inettitudine ad infettare la nostra classe politica».

Scrittori italiani che rimpiange?
«Giorgio Faletti. Aveva una scrittura che non si arrendeva mai, neanche davanti al buio. Sarebbe stato un perfetto sudafricano».