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A unire Teheran e Los Angeles una linea di faglia

Autore: Francesco Longo
Testata: Pagina 99
Data: 25 gennaio 2016

A vederla da Los Angeles, Teheran è una città miracolosa, notturna, fatta di piazze con innamorati seduti sul bordo delle fontane, piazze che all'alba si riempiono di scribi e mullah con stilografiche e collane di grani. Nel romanzo appena uscito di Gina B. Nahai, La strega nera di Teheran (edizioni e/o, pp. 544, euro 19,50) si seguono le vicende di una famiglia ebrea che lascia l'Iran per impiantarsi a Los Angeles. Qui sono guardati con sorpresa perché gli immigrati non si sono mai comportati così: le donne iraniane di questa cerchia si fanno le unghie a Beverly Hills, nello stesso salone di Kim Kardashian invece di «vivere nelle zone più degradate della città, rovinarsi le mani nelle lavanderie o a vendere noodles». I Soleyman - la famiglia del romanzo - abitano in una villa da 52 milioni di dollari attaccata a quella dove è sepolto Michael Jackson, e separata dalla Playboy Mansion solo dal Sunset Boulevard.
Nelle prime pagine del libro viene assassinato il milionario Figlio di Raphael (questo il nome sul certificato di nascita). Nonostante la vita a L.A., tra Aston Martin, bevande verdi e Pilates, Teheran è ancora dentro il protagonista: «Non si era mai davvero lasciato alle spalle i cortili della servitù, i vicoli bui dietro le case dove sua madre lo portava a fare l'elemosina». Nella Teheran degli anni Cinquanta, il padre Raphael è un sonnambulo, ha i vermi nell'intestino ed è luminescente: «si vedeva il suo cuore brillare di una luce bianco-bluastra che metteva in evidenza tutte le vene e le arterie, tutti i muscoli, i tendini e i fluidi corporei». Di lui si innamora la strega nera di Bushir.
La Teheran raccontata, dal Canada, da Marina Remat in La prigioniera di Teheran, era dolce, ombrosa e profumata, ma i ricordi erano sfregiati dalla reclusione nella prigione e dalle violenze narrate. La Teheran di Leggere Lolita a Teheran di azar Nafisi era una capitale in cui gli Stati Uniti filtravano dalle pagine di Nabokov o Fitzgerald. La Teheran disegnata in Persepolis, di Marjane Satrapi, vista dall'Europa, aveva il cielo grigio e i martiri disegnati nei murales sui palazzi.
La Teheran in cui si incontrano la strega nera di Bushir e Raphael è sinistra, magica e imbevuta di leggende come tutto il romanzo. La strega, dopo un lungo viaggio, arriva nella piazza del Magnifico Cannone «nello stesso momento in cui Raphael, col suo cuore luminescente, i fantasmi affamati, la nuvola di falene e zanzare e tutto quanto, faceva il suo ingresso dalla parte opposta».
Gina B. Nahai ha scritto un romanzo di vendette, presentimenti, promesse e maledizioni, in queste pagine i corridoi delle case sanno di Mar Caspio: qui Los Angeles e Teheran sprofondano l'una nell'altra. Ovviamente c'è una Teheran prima della rivoluzione islamica, dove «ragazze in pantaloncini corti e minigonne sedevano sull'autobus accanto a donne avvolte da capo a piedi nei loro chador neri». E c'è la città che nel 1979 si incendia e si svuota: migliaia di arresti, voci di colpo di stato, elicotteri in volo che sparano sulla folla. I Soleyman scelgono come nuova patria Los Angeles. Lì la loro piccola comunità riprende a vivere, con la testa rivolta all'Iran. Il colpo di scena urbanistico - un'epifania per i lettori - avviene a pagina 509: «Ecco cosa avevano in comune Teheran e Los Angeles: entrambe erano state costruite su grosse linee di faglia». In una si sogna la libertà, nell'altra la si trova. Entrambe sono epicentri di trasformazioni epocali, città che cambiano talmente tanto da far desiderare agli abitanti di rimanere se stessi.