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Il ritorno della Barbery con un fantasy per adulti

Autore: Titti Marrone
Testata: Il Mattino
Data: 4 febbraio 2016

I1 primo pensiero spontaneo suscitato dall'inizio della lettura di Vita degli elfi, il romanzo di Muriel Barbery uscito nove anni dopo il successo mondiale de L'eleganza del riccio, è questo: che ne è della geniale inventrice dei personaggi di Renée, la portiera obesa e sciatta dietro cui si celava in realtà una raffinata intellettuale, e dell'adolescente Paloma intenta a pianificare il proprio suicidio? Che fine ha fatto la scrittrice che in un racconto d'impianto filosofico-sociologico sapeva giocare d'ironia raffigurando i vezzi della caviar gouche parigina peraltro definitivamente genuflessa al cospetto della sua scrittura? Ma anche se, dopo le prime pagine del nuovo romanzo, qualcun altro può essere tentato di chiedere a gran voce il ritorno della «Vecchia» Barbery, sarebbe sbagliato fermarsi all'effetto-spiazzamento, di sicuro calcolato dalla scrittrice, e alla constatazione che un abisso stilistico, espressivo, evocativo sembra dividere le due opere. Perché vale assolutamente la pena addentrarsi nella lettura della nuova storia raccontata dalla quarantasettenne scrittrice franco-maghrebina, qui capace di coinvolgere nuovamente il lettore in un'avventura letteraria che forse difficilmente bisserà il successo da sei milioni di copie del libro precedente, ma di sicuro spicca per creatività, nitore di scrittura e, ancora una volta, originalità. Qui Barbery opta per il fantasy per adulti e va dritta per la strada di una storia a base di elfi, bambine con poteri magici, creature malvagie decise a distruggere il mondo degli umani, nature incontaminate da salvare ad ogni costo. Non lesina guerre, talenti magici, guaritrici, spiriti del Gran Sasso, Maestri misteriosi, consigli elfici ristretti e consigli delle Brume. Parte dalla piccola delle Spagne e dall'altra bimba super-talentuosa delle Italie, lascia scivolare la storia da una campagna incantata della Borgogna, simile a quella dov'è andata a vivere da un anno dopo aver lasciato il Giappone, all'Abruzzo, terra che in un'intervista ha descritto come una propria recente scoperta, fino a Roma. Crea un intreccio fitto di avvenimenti e personaggi in cui giganteggiano le bambine Maria, capace di parlare agli animali, e Clara, superba suonatrice e compositrice di musiche al pianoforte senza mai aver studiato. Saranno le due bambine, unite da una sorta di ponte fatato, a fornire la speranza di fermare l'elfo malvagio nei suoi propositi di distruzione. Oltre all'evidente suggestione esercitata da Tolkien e dalla letteratura distopica, Barbery dichiara un debito con il Jean Giono di Un re senza distrazioni. Ma più che per la densità della trama, da sbrogliare in un secondo volume già annunciato, Vita degli elfi si fa apprezzare per la narrazione musicale come una partitura - ben resa nella traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca e per il contrasto tra i registri espressivi fantastico e realistico. E se del tutto immaginifica è la storia raccontata, vi contrasta il realismo assunto come timbro espressivo dominante quando si racconta la natura, i suoi paesaggi, le sue creature. Certi squarci del Gran Sasso o della campagna abruzzese sembrano letteralmente respirare attraverso le pagine, o anche suonare, e quest'effetto ottenuto con una scrittura levigata con molta accuratezza evoca uno sfondo panteista probabilmente sotteso all'interesse della scrittrice per l'Oriente e al fascino esercitato su di lei più recentemente dal taoismo. Così l'approdo al fantasy di questa scrittrice schiva, impegnata per anni a sfuggire al successo e ai suoi obblighi, diventa insieme atto di sfida con se stessa nella ricerca di nuove strade letterarie e negazione di una realtà che la ccolse, al suo ritorno dall'Oriente in Francia, con un evento definitivo e tragico come l'attentato di Charlie Hebdo.