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Pulixi: «Se i criminali indossano la divisa»

Autore: Fabio Canessa
Testata: La Nuova Sardegna
Data: 2 giugno 2016
URL: http://lanuovasardegna.gelocal.it/tempo-libero/2016/06/02/news/pulixi-se-i-criminali-indossano-la-divisa-1.13591479

Nell’ultimo anno si è portato a casa alcuni dei più importanti premi nazionali riservati alla letteratura di genere giallo e noir: dal “Glauco Felici” al “Franco Fedeli”, dal “Corpi Freddi” al “Premio Prunola”. Riconoscimenti ai quali vanno aggiunti i tanti attestati di stima dei lettori che ormai lo seguono da tempo. Anche se ha solo 33 anni, il cagliaritano Piergiorgio Pulixi ha infatti alle spalle già un bel numero di pubblicazioni. Il suo nuovo romanzo, appena uscito per Edizioni E/O , si intitola “Prima di dirti addio” ed è il quarto e conclusivo capitolo di una saga (iniziata nel 2012 con “Una brutta storia” e proseguita con “La notte delle pantere" e “Per sempre”) costruita sul personaggio Biagio Mazzeo, un poliziotto corrotto che con alcuni colleghi ha formato una banda criminale. In quest’ultimo libro della serie si compie il destino di Mazzeo che si fonde con un’inchiesta sul vero volto della ‘ndrangheta. «Volevo raccontare – spiega l'autore – come se fosse una tragedia l'arco di trasformazione di questo personaggio, di Biagio Mazzeo. Dal primo all'ultimo romanzo la sua evoluzione».

Ma per tornare alle origini: com'è nato questo personaggio?

«L’idea originaria viene dalla notizia dell’arresto di un’intera sezione di polizia a Lecce, per associazione a delinquere. Lessi degli articoli che raccontavano come tra di loro si era formata una sorta di famiglia dalla quale emergeva la figura di un capobanda. Lo spunto è stato quello per costruire il personaggio di Biagio Mazzeo. Mi sono chiesto cosa sarebbe accaduto se non li avessero arrestati, fino a che punto si sarebbe spinto questo poliziotto pur di proteggere i suoi colleghi, fino a dove lo avrebbe portato la sua sete di potere».

La cronaca, la realtà è dunque ben presente nella creazione dei quattro romanzi?

«È un’opera di finzione, ma si basa su una cornice verosimile e radicata nella realtà. Ho cercato di raccontare, dal primo romanzo fino all’ultimo, cosa sia la ‘ndrangheta. Partendo da una situazione di base, che è quella del livello della strada, fino ad arrivare alla cima della piramide, mostrando quindi com’è diventata una multinazionale del crimine. Un’organizzazione capace di estendere i suoi tentacoli in tutto il mondo. Di inserirsi nei grandi centri finanziari, riciclare il denaro, distribuire cocaina in tutta Europa. Evitando uno scontro frontale con lo Stato, ma cercando di prenderlo da dentro. Imparando in questo senso dagli errori di Cosa Nostra».

Dal punto di vista letterario quali sono state invece le maggiori fonti di ispirazione?

«Mi hanno ispirato molto le tragedie greche e i drammi shakespeariani. Ma anche il romanzo “Il padrino”, perché la banda di poliziotti di cui parlo si muove davvero come una famiglia mafiosa. Sono criminali con la divisa, hanno fatto questa scelta e cercano di sopravvivere a essa. Ed è là lo spirito noir, tragico della storia».

E dal punto di vista cinematografico?

«Più che il cinema, dei film, devo dire sono state importanti alcune serie televisive: come “The Shield”, “Breaking Bad”, “I Soprano”. Mi hanno mostrato come l’epicità si stava trasferendo nelle serie tv, come le lezioni dei grandi classici fossero state accolte nel mondo della serialità televisiva. Ho cercato di prendere spunto dalle grandi affabulazioni di queste serie e di portare quelle suggestioni in un contesto di romanzo noir».

Romanzo dopo romanzo, l’ha aiutata anche il rapporto con i lettori a costruire il percorso della saga?

«Il rapporto con i lettori è per me molto importante. Chiacchierare con loro durante le presentazioni o leggere i commenti sul web è stato prezioso per focalizzarsi su alcune cose. In particolare sul mondo interiore di Biagio Mazzeo, dare il massimo della tridimensionalità a questo personaggio che pur essendo di suo negativo ha sempre trovato una grande empatia con i lettori».

Arrivati alla parte finale, quali sono le caratteristiche principali della sua evoluzione?

«È un personaggio che ho iniziato a destrutturare. Aveva tutta una serie di ambizioni, desideri e ho cominciato piano piano a fargli terra bruciata intorno. Nel corso della saga ha perso la fiducia della sua famiglia, che ha iniziato a dubitare di lui, poi pian piano a tradirlo. Si ritrova solo, abbandonato dalle persone sulle quali aveva costruito la sua esistenza. Questa condizione di solitudine estrema lo porta a riconsiderare tutta la sua vita da un punto di vista diverso. Ed è qui che entra anche il rimpianto, il senso di colpa, che alla fine sono il motore dell’azione nel quarto romanzo».

Cosa le mancherà di più di Biagio Mazzeo con il quale ha convissuto per tanto tempo?

«Ci ho speso molti anni. Quattro di pubblicazioni, ma c’erano già tre anni a monte di preparazione, di studio, prima che iniziassi a scrivere. Quello che più mi mancherà credo sarà l’adrenalina. Tra tutte le cose che ho scritto, nulla mi ha dato la stessa scarica di adrenalina che sentivo quando scrivevo di lui. Un po’ per le vicende narrate, un po’ per il personaggio stesso che è molto particolare. Un personaggio che vive contro il destino, ribelle».

Riprendendo un po’ il titolo del romanzo, quali parole gli rivolgerebbe prima di dirgli addio?

«Che ci siamo fatti molto male a vicenda nel corso degli anni, ma in qualche modo questo dolore era necessario».