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Cupi retaggi fascisti nell'Italia postbellica

Autore: Massimo Carlotto
Testata: il Manifesto
Data: 21 aprile 2009

Edito da e/o «Un bell'avvenire» di Marco Videtta

In questi tempi in cui la retorica della destra – non solo ex fascista – con le sue falsità revisioniste e le sue ansie di «pari dignità etica e morale» a proposito di Resistenza e di Repubblica Sociale, è diventata particolarmente opprimente, leggere il romanzo di Marco Videtta è una vera boccata d’ossigeno. Un bell’avvenire narra la storia di due fratelli napoletani, Lucio e Fuvio. Fascisti fino alla fine. Il primo risulta ammazzato dai partigiani nella Milano liberata, il secondo salvato da una ragazza del biellese, staffetta partigiana, pochi istanti prima di essere fucilato. Nonostante i fronti opposti si erano amati e lei non ce l’aveva fatta a vederlo morire. Fulvio, prima di indossare la divisa dei repubblichini, era stato in Russia e scriveva al fratello lettere dove la guerra era bela e l’italico conquistatore si dedicava soprattutto a spezzare i cuori delle giovani russe. A Lucio, invece, una malattia agli occhi aveva negato per sempre l’onore del combattimento. Il giovane però non si era perso d’animo e si era sempre battuto con tutto e tutti, non soltanto per affermare l’ideale, ma per difenderne la purezza. Sarà proprio questo a costarli la vita, e Fulvio, che non sa darsi pace, scoprirà che l’uccisone del fratello non è così chiara come si vorrebbe far credere. Così che questo sopravvissuto al plotone d’esecuzione partigiano e comunista diventa investigatore e il romanzo assume toni noir di assoluto rigore stilistico. Al punto che il lettore rischia di lasciarsi trasportare dal ritmo incalzante della scrittura di Videtta e, in qualche modo, perdere di vista i diversi piani di lettura.

In Un bell’avvenire, la ricerca della verità è infatti una scusa per scavare altrove e scoperchiare i pentoloni della storia. Che qui è così accurata da far sospettare che l’autore abbia avuto accesso a ben forniti archivi privati, oltre a quelli della Casa della memoria e della storia di Roma, citati e ringraziati alla fine. C’è il fascismo nelle sue varie componenti, l’antifascismo, la guerra e l guerra civile e il dopo. Ma c’è, soprattutto, una accusa spietata nella continuità tra fascismo e repubblica attraverso l’arruolamento nello Stato degli elementi meno compromessi ma non per questo meno fascisti dell’apparato che aveva messo in ginocchio l’Italia. Personaggi che nelle ultime fasi della guerra si erano particolarmente distinti nell’arte del tradimento e del doppiogiochismo e che avevano avuto a che fare con assassini, torturatori come Koch, Carità e altre decine di figuri delle polizie «private» agli ordini dei gerarchi. E i puri come Lucio erano rimasti fottuti. E i sopravvissuti come Fulvio erano stati invece ingannati come rimediabili ingenui. Fa davvero impressione rendersi conto che tutti i personaggi del romanzo – impegnati a sopravvivere, a fuggire, a tradire o a riciclarsi – ci raccontano in realtà l’Italia di ieri e di oggi. Perché la continuità in una storia così complessa non è cosa da poco. Ci sono alcune pagine in cui l’Msi fa la prima campagna elettorale e dall’altra parte ci sono giganti già sconfitti come Calmandrei (di cui Videtta ci regala un umanissimo ritratto) e si rischia di fare confusione e di ritrovarsi negli anni Settanta. Continuità non solo negli uomini ma nella gestione del potere, nella manipolazione della verità che ancora oggi non conosciamo e infine nella corruzione.

Il fascismo era profondamente corrotto. Oggi gettare fango sulla Resistenza serve quindi anche a far dimenticare l’enormità del vuoto morale della massa di approfittatori che aderirono al regime e si abbuffarono accumulando ricchezze che sono durate ben dopo la morte del duce. Videtta per esempio ci racconta di Farinacci che si finanzia con fondi così poco puliti da derivare anche dal traffico di cocaina. Malaffare non dell’ultimo momento, giustificato dalla necessità di salvarsi, ma antico e radicato nel sistema. E ci racconta ei tesori accumulati da gentaglia come la banda Koch e l’uso che ne venne fatto in tempo di pace. Eh già, prima c’era l’Ovra poi venne il tempo degli affetti riservati… Un bell’avvenire è anche un romanzo importante. Oltre a essere avvincente e molto ben scritto, s’intende. Per la semplice ragione che – pur raccontando la storia di due fratelli genuinamente fascisti – riesce a fare giustizia della montagna di falsità che hanno coperto quel pezzo della nostra storia. E’ un libro che in un paese normale scatenerebbe un dibattito e polemiche di qualità. Ma questa Italia, normale non lo è più da un pezzo. Speriamo allora che il romanzo venda molto e lo leggano anche quelli che si sono convinti, anche a sinistra, che i morti sono tutti uguali. In questo aprile non poteva uscire libro più adatto per ricordarci che il 25 non è una festa come le altre.