Il palazzinaro romano è un po’ una categoria dello spirito. Non è un semplice costruttore: già il suono della parola “palazzinaro” fa vibrare nell’aria qualcosa di diverso.
Tra tutti, per me, il palazzinaro è Aldo Fabrizi, suocero di Vittorio Gassman in C’eravamo tanto amati di Ettore Scola. Da quel film sono passati 42 anno e anche qualche generazione di palazzinari. Quelli di oggi, spesso figli o nipoti, me li vedo vestiti con più garbo, ma con qualche particolare, tipo un nodo di cravatta grosso come una gomena, che tradiscono l’origine. Spie di atteggiamenti ancora da limare.
È così che, se chiudo gli occhi, vedo anche Davide, uno dei protagonisti di La grazia del demolitore. Rampollo del sessantenne Glauco Lancia, uno spietato imprenditore (orgoglioso di aver portato la famiglia da una casa di 50 mq a una che ha un salone di 200) deve a tutti i costi liberare l’ultimo appartamento ancora abitato di una casa modesta che deve ricostruire (per nuovi, voraci, condomini).
Bello (nonostante il probabile nodo a gomena), 34 anni, trasuda euro ed è, ovviamente, molto cinico. Ce n’è abbastanza per spaventare Ursula, trentaduenne priva di mezzi e dalla quotidianità scialba, che la cecità rende ancora più consapevole.
Ma benché non sia Achille, il palazzinaro un tallone ce l’ha. E vi lascio alla storia che Fabio Bartolomei costruisce con arguzia e ironia. Chi conosce i suoi romanzi, a partire da Giulia 1300 e altri miracoli (e/o) sa quanto sia bravo a far sorridere senza smetter di tenere impegnato il cervello. Quel tipo di commedia, vedi Ettore Scola di cui sopra, che non annoia mai e ci lascia, alla fine, un po’ migliori di come fossimo prima.