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Pensare con Elena Ferrante

Autore: Luisa Muraro
Testata: Libreria delle donne
Data: 8 settembre 2016
URL: http://www.libreriadelledonne.it/pensare-con-elena-ferrante/

Elena Ferrante è il nome che si è data l’autrice di due romanzi pubblicati dalla casa editrice e/o di Roma, L’amore molesto (1992) e I giorni dell’abbandono (2002), romanzi che hanno avuto un notevole successo di pubblico e di critica, come si usa dire. I suoi editori, Sandra Ozzola e Sandro Ferri, hanno protetto l’anonimato della scrittrice facendosi intermediari tra lei e chi voleva contattarla, per interviste o altro. In questo modo hanno raccolto un certo numero di lettere e scritti di lei che, alla fine dell’anno scorso, con il suo consenso, sono stati raccolti e pubblicati in un volume intitolato La frantumaglia. Tutte le citazioni che seguono provengono da questa raccolta.

La frantumaglia è un vero libro, nonostante la maniera in cui è stato composto, lo è perché lo anima un pensiero di notevole energia. E quella che ha scritto i diversi testi che lo compongono, ha la capacità (forza, libertà, dono?) di dire quello che pensa così come lo sente. Io qui non farò niente che somigli ad una degna recensione, ne cavo solo elementi per qualcosa che ho dentro da mesi, anni, che è di riuscire a pensare quello che ci sta capitando, specialmente fra donne e uomini, e perciò di farmi l’orecchio alla lingua corrente, perdendo un certo linguaggio che ci rende preziose e scontate. Non tutte sono d’accordo con questa critica, lo so. Lo sarebbe però la Ferrante, almeno per quel che mi riguarda personalmente. C’è infatti un passo in cui mi cita in maniera tutt’altro che lusinghiera. L’antefatto: per contentare i suoi editori che sono diventati anche suoi amici, lei ha scritto un testo per il loro catalogo, mettendosi così sulla “china della scrittura a comando”. Scopre che è facile, che le piace, si sente pronta a scrivere di qualsiasi cosa, dice. E per dimostrarlo fa un elenco ironico di temi con relativo svolgimento. Comincia con un tema ridicolo (festeggiare l’auto nuova dei suoi editori) ma arriva presto ad un tema serio, così almeno lo considereremmo noi e forse lei stessa, “l’urgenza femminile di imparare ad amare la madre”. E si mette a svolgerlo, come si fa con un tema di scuola. Comincia con un episodio autobiografico, molto vivo, dopo di che, scrive, “troverò una strada per svolgere il mio compitino fino a citare ad arte Luce Irigaray e Luisa Muraro” (p.20). Non faccio commenti, perché il commento lo fa lei e io lo condivido, non importa qui stabilire se la cosa risalga al libro stesso (intendo L’ordine simbolico della madre) o all’uso che ne abbiamo fatto. Più avanti, in risposta a Goffredo Fofi, che le ha chiesto se abbia una cultura psicoanalitica e femminista, scrive: sì, da lettrice e da ascoltatrice muta mi sono interessata un poco alla psicoanalisi e, di più, al femminismo. Aggiunge che si sente vicina al pensiero della differenza, ma… E così arrivo al punto che m’interessa sottolineare: “Ma mi sono lasciata prendere anche da molte altre cose che hanno poco a che fare sia con la psicoanalisi che col femminismo, che con la riflessione odierna delle donne” (p. 60). Lasciarsi prendere da altre cose, questo ci capita a tutte, di solito, a meno di patologiche fissazioni. Il difficile, almeno nella mia esperienza, è di tenere presenti queste altre cose nella loro autonomia, perché dicano quello che hanno da dire, senza subordinarle al già pensato né ricacciarle nell’insignificante: tenerle lì, davanti a me, altre e vicine, come parte di un mondo che m’insegna la parzialità del mio pensiero. Senza per questo invalidarlo. [… ]