Mathias Enard già da bambino fantasticava sull'Oriente, poi ha vissuto quasi dieci anni in giro tra Egitto, Libano, Siria e Iran, rendendosi conto che la realtà era molto diversa dall'orientalismo di cui ci nutrivamo noi occidentali, ma non per questo meno affascinante. I materiali raccolti in anni di studi, viaggi, incontri, sono diventati Bussola (Edizioni e/o, pp. 424, euro 19) un romanzo colto, impegnato, che si è aggiudicato il Premio Goncourt nel 2015. Abbiamo incontrato lo scrittore francese in occasione del Festivaletteratura di Mantova.
Un'idea affascinante alla base del suo romanzo è che noi occidentali abbiamo creato il concetto di Oriente dando sfogo a un immaginario esotico e misterioso. Cosa vuol dire?
«Soprattutto nell'Ottocento sono iniziati i viaggi di studiosi e appassionati verso il Medio Oriente, ma anche Algeria, Marocco, Iran, che hanno portato nei paesi europei tutta una serie di opere sia letterarie che figurative che hanno arricchito molto il nostro immaginario. Tutto questo materiale è stato usato dai nostri poeti e pittori che hanno forgiato un'idea di Oriente affascinante, lontana dalla rigidità dei costumi delle società dell'epoca, libera anche sessualmente, basta pensare all'harem e a quanta pittura ha ispirato».
Al cuore del suo libro c'è l'idea che il nostro sguardo di occidentali sia cambiato, influenzato da una cattiva informazione mordi e fuggi legata ai social network. Ma non sono anche cambiate quelle società?
«Si sono alzati gli stessi muri che da noi: accanto a chi accoglie il diverso, l'ospite, restando affascinato dall'altro, c'è chi vuole separare il mondo in un noie e un loro. È una cosa che sta succedendo in Medio Oriente come a casa nostra».
Eppure siamo passati dalla fascinazione per l'Oriente alla paura. È una ferita che si può sanare?
«Io credo che si possa sanare anche in breve tempo, ma la condizione necessaria è che si fermino le violenze in Siria. Si tratta di una scelta politica che riguarda tutti i paesi occidentali e aggiungo che la soluzione potrebbe essere anche facile, ma manca la volontà. Penso e spero che tra 10 anni torneremo ad incantarci visitando quei luoghi».
Sciogliere il nodo di Bashar al-Assad non è così semplice...
È mancata una visione politica ad ampio raggio, non basta tirare bombe se non sai cosa fare dopo. Ma in Siria, dopo quattro anni di guerra civile, penso che una soluzione si possa trovare. Ad esempio, con un governo di transizione per un paio d'anni che porti ad elezioni democratiche. La prima cosa è fermare la guerra, anche perché tutti questi anni di conflitto non li può reggere nemmeno Assad».
Lei tende ad un'idea di pacificazione tra Est e Ovest, anche per questo è stato definito l'anti-Houellebecq, ma questo strappo si può ricucire anche attraverso i libri?
«I libri vanno in profondità, là dove le immagini della tv e dei social restano in superficie. Non sono contro Facebook e Twitter, ma penso che le questioni siano complesse. Trenta secondi su Youtube possono anche ingannare, dobbiamo prendere il tempo di pensare».
Nel libro dedica ampio spazio a Palmira, luogo fortemente simbolico che oggi conta le proprie macerie...
È un posto importante, l'incrocio tra cultura romana, la Persia, gli arabi del deserto. Il concetto di multiculturalità nasce a Palmira».
Oggi ci sono le rovine frutto della violenza dell'Isis. Non è il terrorismo il vero problema da risolvere?
«Qualche anno fa, dopo l'11 settembre, facevano paura al-Qaida, oggi non se ne parla più. Lo stesso succederà con l'Isis, un problema regionale complesso, nel senso che in un mondo globalizzato possono colpire ovunque, ma il problema reale è in Siria ed è lì che va risolto».
Un altro paese che lei conosce bene e che gioca un ruolo importante in quell'area è la Turchia, divisa tra questione curda mai risolta e gli attacchi terroristici...
La questione curda è molto complessa, parliamo di un popolo senza stato sparso su quattro paesi, senza contare che stanno facendo una lotta estrema ai terroristi».
Ritorniamo alla questione iniziale: la Turchia ha cambiato forma, non è solo frutto del nostro sguardo diffidente. Insegnanti sospesi perché considerati simpatizzanti del Pkk, i classici del teatro da Shakespeare a Checov vietati. Parliamo di un paese che stava entrando nella Comunità Europea, mentre l'Inghilterra ne esce.
«Ma non è una questione di Islam, i turchi erano musulmani anche prima, è la dittatura che cambia tutto. Ci avviciniamo ogni giorno di più alla dittatura di Erdogan e del suo partito. Cinque anni fa sarebbe stata una buona idea fare entrare
la Turchia in Europa, oggi non saremmo in questa situazione... L'isolamento del paese a livello internazionale ha permesso ad Erdogan di prendere potere fino a questo punto».