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Come si costruisce un regime

Autore: Davide Musso
Testata: Terre di mezzo
Data: 11 giugno 2009

Ha esordito a quattro mani con Massimo Carlotto e, da poco, è in libreria con Un bell'avvenire (entrambi i libri sono usciti per le edizioni e/o), romanzo ai limiti del noir che racconta l'Italia del '48, appena uscita dal Secondo conflitto mondiale, e indaga l'identità fascista del nostro paese. Tema fin troppo attuale: "Ho parlato del passato con uno sguardo rivolto al presente" dice Videtta in questa intervista. "Basti pensare che Mussolini conquistò il parlamento grazie ad una riforma della legge elettorale che gli regalò un cospicuo premio di maggioranza…".

Perché ha deciso di narrare un periodo storico così particolare – e fondamentale per il nostro paese – dal punto di vista dei “vinti”?
L’uso dell’espressione “vinti” è diventata in questi ultimi anni appannaggio di un facile revisionismo che mette sullo stesso piano coloro che combatterono per una dittatura violenta che portò il paese allo sfascio e coloro che combatterono per restituire all’Italia la libertà e i diritti democratici perduti. Preferirei dunque parlare senza mezzi termini di fascisti. Tali sono i due protagonisti del mio romanzo. Due fascisti molto giovani, anagraficamente nati con il Fascismo e dunque completamente pervasi, intrisi dalla cultura propagandistica di quel regime. Due fratelli molto diversi tra loro. Lucio, il maggiore, cerca di usare le sue convinzioni politiche per riscattarsi dal grigiore della sua classe sociale di appartenenza, quella piccola borghesia che aveva aderito passivamente alla cosiddetta “rivoluzione fascista”. Fulvio ha un rapporto di fiducia incondizionata nei confronti del fratello maggiore, da cui si fa guidare ciecamente.

Ciò che mi interessava era, raccontando le vicende di questi due personaggi, scavare in profondità nelle radici del fanatismo ideologico fascista, come forse nessuno in Italia aveva ancora fatto. Quanto al periodo storico, ho collocato l’indagine di Fulvio per scoprire le circostanze dell’assassinio del fratello nel 1948, un anno cruciale nella nostra storia che non è stato mai raccontato né dalla narrativa né dal cinema. E non a caso: il 1948 segna il passaggio istituzionale dal fascismo alla repubblica. Ma pochi sanno che vi fu un’inquietante continuità in questo passaggio. Basti pensare al fatto che i magistrati continuarono ad essere gli stessi che avevano mandato in esilio o condannato al carcere migliaia di antifascisti fino al 1965, anno in cui scattò per loro il pensionamento. O che nel 1949 la polizia richiamò in servizio gli ex fascisti sessantenni, per licenziare gli ex partigiani quarantenni. In buona sostanza, la Repubblica nacque dentro una zona grigia su cui la nuova cultura dominante non volle mai fare chiarezza. E credo che ancora oggi scontiamo le conseguenze di questa mancata trasparenza. Ritengo sia arrivato il momento di indagare e cercare di fare chiarezza sul nostro passato se vogliamo immaginare in modo diverso il nostro futuro, altrimenti continueremo a rimanere, come paese, impantanati in un presente melmoso, fatto di ambigue contiguità politiche.

Quanto ha contato, nella stesura del romanzo, il lavoro preparatorio di documentazione?
Moltissimo. E’ stato un lavoro lungo e difficile, durato più di due anni. Ho fatto ricorso a documenti pressocchè inediti, alcuni dei quali tuttora secretati o di difficile accesso. Ma ho avuto la fortuna di ritrovarmi in casa buona parte degli atti del processo alla banda Koch, un reparto speciale di polizia incaricato di perseguire le forze di liberazione ma anche di controllare con metodi spionistici violenti e intimidatori persino i colleghi di altre polizie fasciste. Bisogna considerare che nella sola Milano, nel 1944, cioè durante la Repubblica Sociale Italiana, operavano per diretta volontà di Mussolini addirittura venti polizie politiche. In effetti mio padre, nei primi anni ’50 cercò di capire come fosse morto suo fratello ed ho la sensazione che abbandonò le ricerche quando intuì che aveva fatto parte della banda Koch. A distanza di quasi sessant’anni ho sentito il dovere e l’urgenza di completare questo lavoro di indagine. E ho scoperto cose sbalorditive sulle nostre radici.

Nel suo romanzo il confine tra “buoni” e “cattivi” è fluido. In fondo, Fulvio Amitrano, l’io narrante, non è un personaggio negativo, così come il fratello Lucio. Sono anzi persone che hanno creduto e lottato sinceramente per un ideale, per quanto non condivisibile.
In effetti non parlerei di buoni e cattivi. Parlerei piuttosto di giovani che non avevano conosciuto, nella loro formazione, nient’altro che il fascismo. Per loro arruolarsi volontari per la campagna di Russia non era solo un dovere ma in un certo senso andare alla ricerca di un’avventura, cogliere l’occasione di viaggiare verso mondi lontani. In una pagina del romanzo descrivo la scena dei soldati italiani che, attraversando con le tradotte militari paesi come la Romania o la Polonia, lanciano dai finestrini pacchetti di sigarette e tavolette di cioccolato, proprio come due o tre anni dopo fecero i soldati americani nelle nostre città prostrate dalla guerra. Salvo poi scoprire cosa sia, in realtà, la guerra. Ben diversa fu la scelta di aderire alla RSI. Lì entrò in gioco il concetto di coerenza che, applicato all’ostinazione nel difendere e nel praticare la sopraffazione sui propri concittadini, nella speranza che i nazisti arrivassero per primi alla bomba atomica, perde a mio avviso la sua connotazione positiva. Tornando alla domanda, direi che Fulvio è fondamentalmente un ingenuo che ha bisogno di toccare con mano la verità sul fratello che ha idealizzato e mitizzato per arrivare a capire di non essere come lui. In questo senso, “Un bell’avvenire” è anche un romanzo di formazione.

Spesso nelle sue pagine le cose non sono quelle che sembrano a un primo sguardo. Penso alla verità sulla morte di Lucio, ma anche alla figura di Renato Manfredini. E’ una metafora dell’Italia di oggi?
Come dice un personaggio del romanzo, "In questo paese coincidenze e vicinanze sono sempre in agguato". Tutti i personaggi in cui Fulvio si imbatte nel corso della sua indagine sono ambigui, nessuno dice quello che pensa davvero. Tutti hanno rimescolato le carte. Molti tradiscono. Nessuno appare per quello che veramente è. E in questo, purtroppo, leggo molte affinità con l’Italia dei nostri giorni. Quanto alla politica, basti pensare che Mussolini conquistò il parlamento grazie ad una riforma della legge elettorale che gli regalò un cospicuo premio di maggioranza… Si, in effetti ho parlato del passato con uno sguardo rivolto al presente, cercando di capire perché ci troviamo a bordo di un treno fermo su un binario morto di cui non conosciamo la provenienza e tantomeno la destinazione.

A proposito del nostro Paese, cosa pensa della nuova ondata di destra – con episodi di cronaca anche estremi e preoccupanti – che sta sempre più caratterizzando gli ultimi anni?
Nel periodo in cui lavoravo al romanzo, mi è capitato un piccolo episodio. Stavo prelevando dei soldi al bancomat e dietro di me sentii la voce di Mussolini che urla “La parola d’ordine è vincere. E vinceremo!”. Mi giro e realizzo che si trattava della suoneria del telefonino di un giovane in fila dietro di me. Viene da chiedersi come sia possibile che un’ideologia che peraltro ha portato questo paese al disastro faccia ancora presa. Forse una risposta parziale può essere questa: in tempi di crisi, vince la semplificazione. La cultura del dubbio, del rispetto per l’altro, costa maggiore sforzo di elaborazione, persino di controllo emotivo, di razionalizzazione. E’ più semplice dire: “Sono incazzato e me la prendo con quello che mi sta sulle palle”. Ma non è sufficiente. E allora ci si “nobilita” dando una spruzzatina di vernice ideologica. La difesa del proprio territorio marginale diventa difesa delle tradizioni culturali. La difficoltà nell’affrontare una competizione sociale basata sul merito, viene annullata eliminando preventivamente gli altri concorrenti, solo perché appartengono ad un’altra razza o ad una cultura diversa. E’ di questi giorni l’aggressione al Procuratore capo di Verona, “reo” di avere portato avanti le indagini sul linciaggio di un ragazzo “di sinistra” da parte di un gruppo di picchiatori fascisti. Questa notizia, che per la sua gravità avrebbe meritato la prima pagina, è stata relegata in piccoli articoli di cronaca. E’ anche così che si costruisce un regime.