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La tesi di Bussi: scienze sociali ma anche fiction per capire fenomeni globali

Autore: Alessandra Coppola
Testata: Corriere della Sera - La Lettura
Data: 13 novembre 2016

Dove i mezzi di comunicazione non riescono ad arrivare, può spingersi un geografo-romanziere. Davanti alle «grandi questioni del mondo contemporaneo come le migrazioni», a guardare la tv, ragiona Michel Bussi (51 anni), «siamo immersi nelle emozioni, nella paura dell’altro: bisognerebbe, invece, dare più spazio agli scienziati sociali, che sono in grado di spiegare le cose come stanno, chiarirle, renderle meno drammatiche». Lasciare che le vicende sedimentino, e magari poi sedersi in poltrona a leggere un noir: «Essere geografo e anche romanziere mi permette di mantenere questa dimensione di storia, di trama poliziesca, di suspense e al tempo stesso di inserire nella narrazione temi geografici».

Ninfee nere affondava in Normandia, dove l’autore è nato e cresciuto. L’ultimo giallo edito in Italia, Tempo assassino (come il precedente per e/o, traduzione di Alberto Bracci Testasecca, pagine 512, e 16) si muove lungo la costa settentrionale della Corsica, terra di origine del nonno di Bussi (a sua volta discendente di parmigiani). Di nuovo, una porzione di territorio minima, ai confini della République.

Michel Bussi, docente di Geografia all’Università di Rouen, è tra i più letti autori di gialli di Francia, tradotto in 30 lingue, venduto fin nei supermercati al ritmo anche di tremila copie al giorno: non le sta stretta l’etichetta di «scrittore di provincia»?

(Ride) «Mi definiscono anche scrittore regionale, per indicare l’attaccamento al luogo in cui sono ambientati i romanzi, in alcuni casi “thriller domestici”. Ma dal momento che i miei libri si vendono in tutto il mondo, si passa dalla scala locale a quella internazionale. Penso ai romanzi che hanno per protagonista il commissario Montalbano: per scrivere qualcosa di universale bisogna essere locali e radicati. È più difficile farlo a New York o a Parigi, più semplice in un angolo come il mio».

Un angolo che però è stato attraversato da grandi eventi della storia, anche in tempi recenti: la chiesa attaccata da fanatici islamici, lo scorso luglio, è a pochi chilometri da Rouen.

«La Normandia è terra di contrasti. Lo sbarco del 1944, le cattedrali, e al tempo stesso un paesaggio industriale, un contesto di povertà. Può avere affinità con la Sicilia di Montalbano: la storia, il patrimonio, la regione-museo e la miseria. Allo stesso modo, è una terra ricca per un romanzo di suspense, dove dimensione sociale e bellezza del paesaggio si mescolano».

Come la Sicilia, la Normandia è uno snodo importante nella rotta dei migranti. Da geografo-romanziere, con che occhi assiste a questo passaggio?

«Molti miei romanzi parlano del mare, dell’isola, del desiderio di partire, del bisogno di guardare l’orizzonte. E non escludo in futuro di scriverne ancora, non solo come condizione sociale, ma come riflessione sul destino degli uomini. Mi chiedo: se fossi nato altrove, che cosa avrei fatto? Vedo ragazzi pronti a tutto pur di raggiungere l’Inghilterra. È qualcosa di molto forte. E chiudere le frontiere, sbarrare il mare, è atroce. La gente ha bisogno di libertà, e avrà sempre bisogno di andare oltre».

Di fronte a questi flussi, invece, si rafforzano i confini. E anche in Francia crescono i movimenti xenofobi. Da esperto di processi democratici, come valuta l’avanzata dell’estrema destra?

«La grande forza popolare, operai, disoccupati, la forza anti-europea e anti-sistema in Francia si è collocata a destra: è il Fronte nazionale ad aver assorbito queste istanze, mescolando retorica razzista e discorso sociale. E non vedo come il Paese possa uscirne».