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La recensione di “Tempo assassino”, l’ultimo romanzo del maestro del noir Michel Bussi

Autore: Martina Mattone
Testata: Voci di fondo
Data: 9 marzo 2017
URL: http://vocidifondo.com/2017/03/09/recensione-tempo-assassino/

Dopo Ninfee Nere Michel Bussi torna con un nuovo e avvincente thriller, che vi terrà con il fiato sospeso dall’inizio alla fine. Nel 1989 Clotilde, una quindicenne come tante altre, rimane orfana a seguito di un tragico incidente stradale in cui perde la vita tutto il resto della sua famiglia.

Clotilde provò quella sensazione, la sensazione che la Fuego non avrebbe più toccato terra, che il mondo reale stava per scomparire. Come una falla nella ragione, qualcosa che non può succedere, non davvero, non a loro, non a lei.

Ventisette anni dopo Clotilde è una moglie e una madre, ma i ricordi di quella terribile estate sono ancora dolorosi e difficili da superare. Anche per questo motivo decide di tornare in Corsica, per tentare di esorcizzare la profonda angoscia che le rievoca quel luogo e allo stesso tempo, il filo invisibile e inquietante che la tiene legata a quella porzione di terra circondata dal mare.

Anche i peggiori ricordi finiscono per essere dimenticati se sopra di essi se ne accumulano altri, molti altri, anche quelli che ti hanno squarciato il cuore e scalfito il cervello, anche i più intimi. Soprattutto i più intimi. Perché sono quelli di cui gli altri se ne fregano.

La lettera che riceve improvvisamente sembra provenire proprio da uno di quei luoghi della mente, eppure mai come ora appare reale. La calligrafia e la firma sono, infatti, di sua madre. Ma com’è possibile?

Se avete seguito il mio consiglio e avete letto Ninfee Nere avrete capito che Bussi è un bravissimo manipolatore. Di personaggi, psicologie, eventi e piani temporali. Ecco, in Tempo assassino – proprio come suggerisce un po’ il nome – l’elemento che più di tutti diventa ossessivo e angosciante è proprio il sapiente gioco di piani temporali: passato e presente si alternano in maniera a volte precisa e a volte più sfumata, cercando di favorire l’immedesimazione del lettore con i sentimenti della protagonista, in bilico tra il superamento di un’esperienza drammatica e una terribile (forse) consapevolezza nel presente. Rispetto al precedente romanzo ho trovato un cambio di ritmo narrativo che ben si sposa con la storia. Se in Ninfee nere la narrazione proseguiva in maniera serrata, qui invece si procede a “singhiozzo”. Le pagine si gustano ad una ad una, lentamente, un po’ come succede per la vita su un’isola. Anche se ho avuto qualche riserva per gli aspetti culturali, a livello geografico la Corsica è descritta benissimo (a mio parere le descrizioni sono uno dei maggiori punti di forza dell’autore, forse anche più delle trame stesse) e pare quasi di ascoltare la risacca marina, percependone allo stesso tempo l’odore salmastro e le sensazioni di impotenza e fascino che ruotano intorno all’immensa distesa d’acqua. L’alternanza tra piani temporali viene scandita anche tramite un diverso prospetto psicologico della protagonista: alla Clotilde quindicenne spensierata e piena di speranze per il futuro si alterna la Clotilde adulta, in bilico tra un matrimonio in crisi e la sensazione d’inadeguatezza tipicamente materna. Non è mai banale Bussi, mai una parola fuori posto o indelicata quando parla delle donne, che a quanto pare rappresentano i suoi personaggi preferiti. Eppure, non riesci mai a capire, se non alla fine (per la cronaca, l’unico difetto di questo libro è, a mio parere, un po’ il finale, sul quale avrei indugiato ancora di più) se il suo modo di sviluppare i personaggi voglia dare credito alla donna che descrive o viceversa criticarla. Indugia sulle contraddizioni tipicamente femminili e chi legge non può fare a meno di chiedersi se alla base ci sia qualche sfumatura di sarcasmo o se, invece, il suo sia effettivamente uno sguardo lucido e sincero sugli stati d’animo dei personaggi.

Tempo assassino è uno di quei libri che non può piacere a metà: o si ama o si odia. Si legge con calma, a differenza di molti altri thriller, che “corrono” verso la soluzione degli eventi senza necessariamente preoccuparsi della possibilità di immedesimazione con i lettori. Se lo si apre pensando di arrivare il più velocemente possibile alla soluzione degli eventi non lo si comprenderà mai in pieno. Solo lasciando alla narrazione i suoi tempi per svilupparsi si percepirà invece la volonta dell’autore, che è quella di creare qualcosa in grado di toccare il lettore tramite le debolezze di protagonisti talmente verosimili da chiedersi se sia una storia scritta a tavolino o un racconto con personaggi reali. Successivamente, però, vi renderete anche conto che una volta iniziato a leggere vorrete averne sempre di più, avrete bisogno di cercare la spiegazione a quell’inspiegabile sensazione di vuoto e di angoscia che vi causerà la lettura. Un po’ come un salto nel precipizio. Ecco, se dovessi descrivere questo romanzo con una parola lo paragonerei proprio all’abisso.

Palpebre chiuse. Altrove per l’eternità

Uno, due, tre, sipario!