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Massimo Carlotto, lo scrittore disarmato

Autore: Aldo Grandi
Testata: La Gazzetta di Lucca
Data: 2 aprile 2017
URL: http://www.lagazzettadilucca.it/l-intersvista/2017/04/massimo-carlotto-lo-scrittore-disarmato/

Il principe degli scrittori noir italiani in una 'insolita' serata al teatro Pacini di Pescia per interpretare il suo Crime Story, prosa condita da splendida musica - tre sassofoni - raccontando l'Italia delle mafie dei nostri giorni

Massimo Carlotto, da scrittore ad attore di teatro.

No. Assolutamente no. Io sul palco sono esattamente me stesso alle prese con una proposta di romanzo e devo solo verificare se il romanzo funziona oppure no.

E lo ha verificato?

Sì, alla fine dello spettacolo si capirà se il romanzo funziona o meno.

In questa storia lei è ancora una volta alle prese copn le mafie d'Italia. Perché questa insistenza su questo tema?

Perché sulle mafie è nata una sorta di rimozione che ha un significato quasi antropologico nel senso che le mafie non sono più percepite come un pericolo da quando non ammazzano più e sono diventate partner economici accettabili.

Lei, infatti, nella sua rappresentazione, fa chiaramente capire che c'è stato un cambiamento epocale.

Il cambiamento epocale è determinato dalle nuove strategie mafiose che vogliono contare di più nella società attraverso l'economia e attarverso l'infiltrazione nelle istituzioni.

Lei punta il dito sul rifiuto da parte anche delle istituzioni e dei mass media di affrontare, con inchieste apposite, questo scottante rgaomento.

Sì, esattamente. Nel senso che questo è un periodo storico dove sarebbe necessario parlare ancora di più di mafia. Il silenzio non fa altro che aiutare le culture criminali a infiltrarsi nella nostra società.

Se è per questo lo sono da sempre, infiltrate.

E ' vero, ma con la globalizzazione dell'economia si sono aperti nuovi mercati criminali in cui le mafie sono diventate artefici fondamentali di grandissime operazioni finanziarie. Il raggio di azione criminale quindi non è più locale o nazionale, ma è diventato internazionale, basti pensare al traffico di riifiuti o alla sofisticazione alimentare.

Lei parla di mafie, ma sa bene che in Italia la mafia, almeno lessicalmente, è una sola. Eppure è stato tra i primi a denunciare la presenza nel nostro Paese di sodalizi criminali provenienti dall'estero.

Sì, di sodalizi che ora si sono intrecciati e di alleanze che sono doventate così forti da creare veri e propri cartelli in grado di dominare interi territori.

Carlotto, ma non è che questi cartelli li vede solo lei visto che noi, sui giornali e in Tv, non ne sentiamo nemmeno parlare?

Questa posizione è esagerata perché in realtà se ne parla, non come si dovrebbe, ma, per esempio che la n' drangheta sia diventata la mafia più potente al mondo è un dato di fatto incontrovertibile. Notizie che ora sono a portata di tutti. Il problema è un altro. Il problema vero è quello di trasformare la notizia in un dibattito che coinvolga l'intero paese.

Mattarella si limita ad andare in Sicilia e a parlare genericamente di lotta alla mafia. Non è che ha sbagliao strada?

La famiglia Mattarella ha già pagato un prezzo molto duro alla mafia e il presidente, a differenza di altri, ha una posizione molto netta e precisa. Ovviamente il suo ruolo istituzionale lo obbliga a determinate posizioni. In realtà l'unica vera speranza è che questo dibattito nasca dal basso e si sviluppi nella società. Un tempo si chiamava società civile, ma è un tipo di società che è perfettamente in grado di svioluppare cultura e antimafia in una sinergia positiva.

Avrà letto che uno degli assasini del giovane di Alatri era stato fermato la sera prima con 300 dosi di cocaina, 150 di crac e 300 dosi di hashish. Il Gip, tuttavia, accogliendo la tesi difensiva del consumo di gruppo, lo aveva rimesso in libertà. Secondo lei, ma sia sincero e, se ne è capace come nei suoi romanzi, anche brutale, con questa magistratura ce lo spiega come pensa di poter conbattere le mafie?

Il caso in questione è diverso perché, secondo me, il Gip ha avuto ragione.

Come scusi?

Il Gip secondo me ha avuto ragione perché, effettivamente, la valutazione rispetto alla detenzione era corretta. Il problema è un altro. Bisogna chiedersi come poteva rimanere aperto un circolo associativo dove ogni sabato si verificavano risse all'esterno e non c'era nessuna gestione della sicurezza.

Scusi, ma allora secondo lei uno che detiene 300 dosi di cocaina puo stare tranquillamente in giro?

Lo spaccio di stupefacenti deve essere severeamente punito, ma in quel caso è diverso.

Lei spesso sembra essere particolarmente indulgente verso coloro che commettono reati e finiscono in carcere. C'è qualcosa legato alla sua esperienza personale? Ossia, è la diffidenza che da sempre si porta dietro verso le forze di polizia?

No. Io credo, invece, che sia molto importante la certezza della pena. Ma credo che valga il principio costituzionale della pena come mezzo per recuperare il condannato alla vita sociale. Quindi, io non sono indulgente, credo in un Paese che voglia scommettere sul recupero e non sull'abbandono dei propri cittadini in strutture carcerarie che sono diventate università del crimine.

Dov'è finito l'Alligatore?

L'Alligatore sta indagando su un nuovo caso e tornerà a settembre con un nuovo romanzo.

Nelle sue storie ci sono due personaggi manifestamente opposti: l'Alligatore che non si azzarda né vuole impugnare un'arma nemmeno a regalargliela. E Beniamino Rossini che, al contrario, gode delle simpatie dei lettori proprio per quel suo sostenere la teoria dell'occhiio per occhio dente per dente. Lei Carlotto non è che vuol fare il garantista a tutti i costi e, poi, strizzerebbe volentieri l'occhio a chi sceglie di farsi, giustamente, gustizia da solo?

Nei miei romanzi descrivo ambienti che sono all'esterno della nostra scietà, con leggi e regole proprie che nulla hanno a che fare con la convivenza civile. In quell'ambiente le pistole di Beniamino Rossini servono a sanare ingiustizie che, altrimenti, rimarrebbero tali.

Lei sostiene di sperare ancora in qualcosa, ma, a sentirla, poi, parlare, e leggendo quello che scrive, sembra tutto l'opposto. Ci crede in una rinascita della società civile?

Noi viviamo in una società dove l'ottimismo è esasperato. E questa immagine da Mulino Bianco che ci opprime non serve a risolvere i nostri problemi. Un po' di sano pessimismo è un atto di giustizia che serve a riequilibrare questa situazione.