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Sognando di diventare attori

Autore: Jason Horowitz, The New York Times
Testata: Internazionale
Data: 26 maggio 2017

Un esercito di bambini si è radunato in un vicolo del rione Sanità, un quartiere difficile di Napoli dove alle finestre sventolano i panni stesi e oggi si sogna la celebrità. Marta Reale, dieci anni e la frangetta schiarita, sorride e si fa strada fino all’entrata del centro ricreativo, attraversando una folla di bambini, fumo di sigarette illuminato dai raggi di sole e madri che si sventolano sedute sui sellini degli scooter. Sopra la sua testa altri bambini sono affacciati a una finestra e, più in alto, ce ne sono ancora altri ammassati su un balcone. Marta si avvicina a un tavolo, dice come si chiama e quanti anni ha, e riceve un post-it numerato e un modulo da far firmare ai genitori per l’autorizzazione a partecipare al casting.

Sopra il tavolo c’è un cartello con la scritta “Sogna”.

Questo non è un casting come gli altri. È quello di L’amica geniale, un adattamento del primo dei quattro volumi di un romanzo ambientato a Napoli scritto da Elena Ferrante, un’autrice la cui identità nascosta ha stuzzicato la fantasia del mondo della letteratura e i cui libri hanno venduto più di un milione di copie.

La rete televisiva statunitense Hbo e la Rai hanno deciso di cavalcare il successo di L’amica geniale e di produrre una serie in otto puntate ispirata al romanzo, presentando al pubblico internazionale il complicato rapporto tra due ragazze eccezionali, Lila (“la ragazza terribile e affascinante”) e Lenù (“mi piaceva essere ammirata da tutti”), che nel dopoguerra crescono in un quartiere popolare di Napoli. È una grande produzione, con un regista famoso e la collaborazione dell’autrice per la sceneggiatura e la scenografia (“Parliamo via email”, spiega il regista Saverio Costanzo. “Caro Saverio, Cara Elena”).

E come si faceva un tempo, per dare un senso di autenticità, i produttori hanno deciso di scritturare dei bambini attori dilettanti. Due bambine per ognuno dei personaggi principali (per interpretare Lila e Lenù all’età di 8 e di 15 anni) oltre a un nutrito cast di supporto composto da bambini scaltri e abituati alle difficoltà in stile Annie, il film diretto nel 1982 da John Huston.

Il risultato è un cast aperto a tutti che ha già attirato cinquemila bambini, la maggior parte dei quali non ha mai sentito parlare di Elena Ferrante. In queste zone di Napoli povere di risorse ma ricche di personaggi reali, si respira in questi giorni un insieme di isteria e speranza. “A Napoli tutti sanno recitare”, spiega Costanzo. “Devono recitare per difendersi. Tutti hanno un ruolo da interpretare”.

“La recitazione scorre nelle vene di Napoli”, conferma Dora Cardamone, 43 anni, mentre aspetta che arrivi il turno del provino per le sue due figlie. Le figlie della signora Cardamone sono al piano di sopra, in fila con altre dieci bambine, davanti a un muro a righe rosse. Tutte hanno in mano un foglio di carta con il loro nome. Mentre un assistente esamina le foto, la direttrice del casting Laura Muccino spiega con calma che in questo momento stanno cercando “caratteristiche specifiche” e che i bambini non devono rimanere delusi se non sono chiamati nella stanza accanto per un breve colloquio. Quando l’assistente si avvicina alla figlia della signora Cardamone – Maria Rosaria, 13 anni, con le parole “mamma” e “papà” tatuate sotto i polpacci – la bambina si mette di profilo, come se posasse per una foto segnaletica. Supera la prima selezione. A quel punto Maria Rosaria entra in una stanza più piccola e guarda con ansia verso la telecamera digitale piazzata tra Costanzo, che sta cercando “occhi tristi, una specie di calma interiore”, e Muccino, che vorrebbe evitare le forme abbondanti oggi molto diffuse a Napoli e trovare la fame del dopoguerra e “qualcosa di infranto”.

Pugni e schiaffi

“Vai d’accordo con tua sorella?”, chiede Muccino. “No”, risponde Maria Rosaria. “Perché?”. “Perché non mi rispetta. Mi prende in giro”. “Perché?”, chiede Costanzo. “Perché è più bella di me, quindi io la picchio”.

Storie di pugni e schiaffi vengono fuori una dopo l’altra. Anche se nei romanzi di Ferrante c’è una buona dose di violenza, il portabandiera della brutalità di Napoli resta Gomorra, un film poi diventato una famosa serie televisiva, entrambi ispirati da un best seller sulla camorra e sulla vita nei quartieri peggiori della città. Gomorra ha molti fan nel rione Sanità e in tutto il mondo, ma non tra chi amministra la città.

Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, che ripulendo la città (dalla spazzatura e dal crimine) ha contribuito a trasformarla in una delle capitali cinematografiche d’Italia, critica la violenza esasperata di Gomorra, ma ammette che la serie ha spinto i turisti ad aspettarsi il peggio.

“Se ti aspetti l’inferno, il purgatorio diventa come il paradiso”, dice il sindaco. La produzione di L’amica geniale, invece, rappresenta per de Magistris “una grande occasione per la città”, sia dal punto di vista dell’immagine sia degli investimenti.

A pochi mesi dall’inizio delle riprese, i produttori – Lorenzo Mieli di Wildside e Domenico Procacci di Fandango – sono ansiosi di trovare le protagoniste della serie.

“Siamo ansiosi, ma non ancora disperati”, spiega Procacci (con un tono leggermente angosciato).

Dopo il colloquio Maria Rosaria esce dalla stanza vantandosi: “Ho ottenuto la parte, andrò in televisione”. Ma in realtà è ancora lontana dall’avere un ruolo nella serie. Il suo vicino di casa Enzo Valinotti, 57 anni, calzolaio, ricorda quando quasi un secolo fa nel quartiere viveva Totò, poi si sporge dalla sua finestra al piano terra e dice dei bambini che affollano la strada: “Sono così felici”. Non tutti, in realtà. Un veloce contatto con lo show business ha lasciato in lacrime un bambino. “Non mi hanno fatto il colloquio”, spiega mentre le donne del quartiere cercano di consolarlo. “Amore, amore”, dicono, “vanno in tutte le scuole di Napoli, se facessero un colloquio a tutti non finirebbero mai”.

Alcune madri sono contente che i provini abbiano allontanato i loro figli dalla strada almeno per un pomeriggio e gli abbiano regalato qualcosa da ricordare. Altre sognano in grande. “Guarda mio figlio. È bellissimo”, dice Anna Arrivolo, 43 anni, afferrando la faccia paffuta del figlio e pettinandogli i capelli cosparsi di gel. “Non voleva fare il provino, ma io ho insistito”.

“Conosci Bellissima?”, mi chiede Costanzo riferendosi al classico di Luchino Visconti, in cui una madre fa di tutto per far entrare la figlia nel mondo del cinema. “Qui è un po’ la stessa cosa”.

I provini vanno avanti. Sotto un cartello con la scritta “Bellezza”, Marta in cima alla tromba delle scale, interroga gli altri bambini che tornano indietro. “Oh, Francesco! Cosa è successo là dentro?”, chiede a un bambino che dopo aver sorriso risponde: “Niente, solo qualche domanda”.

Occhi tristi

Si diffondono voci di corridoio (“Hanno scelto Benedetta!”) e nessuno si accorge di Alba Rohrwacher, acclamata attrice italiana e fidanzata di Costanzo, che cammina tra i bambini in una lunga gonna gialla.

Qualcuno della produzione dice in tono perentorio “Silenzio!” e poi chiama i dieci bambini successivi. “Ragazzi, buona fortuna!” grida Marta. Poi afferra la sua amica Fabiana Colantonio, nove anni, alza lo sguardo verso il soffitto e dice: “Gesù, fa che scelgano me”. Pochi minuti dopo le due ragazze si mettono in fila con gli altri, spalla a spalla, come Lila e Lenù nel libro. Costanzo e Muccino si consultano bisbigliando. Poi Muccino si avvicina alla fila e tocca Fabiana sulla spalla, ma non Marta, che all’inizio sembra confusa e poi deglutisce rumorosamente.

Alle 18.30 la produzione decide che per oggi basta così. Costanzo non ha trovato le candidate per i due ruoli principali, ma ha visto alcuni occhi tristi che spera possano “costruire l’anima” del quartiere immaginario che vuole creare.

Mentre il regista lascia il palazzo insieme alla fidanzata e alla sua squadra, Fabiana Scasserra, nove anni, è nel portico al piano terra davanti al centro ricreativo e li osserva. Ha capelli lunghi e scuri, fianchi asciutti e occhi attenti. Anche lei ha fatto il provino. Sua madre è appena torna a casa dal lavoro, in una fabbrica di cinture, la bambina le racconta che le hanno scattato una foto e le hanno chiesto di restare per farle qualche domanda. La madre, Maria Pinta, 35 anni, guarda la figlia e le dice: “Che begli occhi che hai”.