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L’ombra del passato che ritorna

Autore: Guido Caldiron
Testata: Il Manifesto
Data: 30 maggio 2017
URL: https://ilmanifesto.it/lombra-del-passato-che-ritorna/

Konstantin è un uomo anziano, sopravvissuto a tante prove, un ex preside di un piccolo centro di quella che fu la Repubblica Democratica Tedesca. Quando il giornale locale decide di raccontare la storia del liceo che lui ha diretto per tanti anni, costringendolo a misurarsi con il passato, dal meccanismo della memoria a lungo tenuto sotto controllo cominciano ad affiorare le ombre di una terribile vicenda famigliare che si è sforzato di rimuovere per tutta la sua esistenza. La storia di un padre imprenditore e nazista che voleva costruire accanto alla sua fabbrica un lager per sfruttare il lavoro coatto degli internati e che durante la Seconda guerra mondiale, come ufficiale superiore delle SS si era macchiato di crimini orribili tanto da essere catturato e impiccato dai partigiani polacchi alla fine del conflitto. Un uomo, morto mentre lui veniva al mondo, con la cui figura non ha però mai cessato di dover fare i conti e che nella Germania Est antifascista del dopoguerra aveva continuato a influenzare negativamente la sua vita quotidiana, in particolare attraverso gli onnipresenti fascicoli dell’amministrazione che attestavano, malgrado avesse cambiato il proprio cognome e non ne avesse mai condiviso in alcun modo le idee che si, lui era proprio il figlio di quel «mostro».

Intenso e a tratti spiazzante, corale e al tempo stesso profondamente intimo, il nuovo romanzo di Christoph Hein, Il figlio della fortuna (e/o, pp. 424, euro 19,50) riflette su uno dei temi più significativi della storia tedesca contemporanea: la scomoda eredità del passato nazista che pesa ancora su quella società. Dopo essere stato uno dei protagonisti della vita culturale della Rdt, ma anche uno dei critici più acuti, insieme a Christa Wolf, Heiner Müller e Stefan Heym, di quel sistema di potere, attraverso la sua scrittura incisiva e una lucidità per certi versi implacabile, a 73 anni Christoph Hein continua a proiettare il suo sguardo senza concessioni né compromessi, sulla storia e la memoria della Germania.

Lo scorso anno, al momento della sua pubblicazione in Germania, questo romanzo ha ottenuto un grande successo. Il modo in cui il paese ha fatto i conti, o meno, con il proprio passato nazista interessa anche i tedeschi delle nuove generazioni?

Il nazismo, e soprattutto la Shoah, hanno rappresentato per la Germania un tale crollo di carattere culturale e umano, degli eventi talmente unici e sconvolgenti anche nelle loro dimensioni che sono convinto rimarranno al centro della memoria tedesca per secoli ancora. E, più in generale, nella mente dei miei concittadini, come per la cultura del nostro paese quei fatti resteranno impressi, come è giusto che sia, per sempre.

Attraverso la vicenda di Konstantin sembrano emergere due memorie del nazismo: quella dell’Ovest, di uno zio nostalgico che non pare considerare le colpe dei tedeschi, e quella dell’Est, dove il passato è stato ufficialmente superato ma dove la sua ombra continua in realtà ad accompagnare la vita del protagonista…

In effetti, dopo il 1945 le cose non andarono allo stesso modo nelle due parti del paese. Nella Repubblica Democratica i nuovi governanti erano, nella maggior parte dei casi, delle persone tornate dall’esilio o che erano state liberate dai lager alla fine del conflitto. Non c’erano o quasi casi di ex dirigenti nazisti che si erano riciclati nelle nuove istituzioni, come accadeva invece nella Repubblica Federale. All’Ovest, per ricostruire il paese, Adenauer scelse infatti di avvalersi anche di molti tecnici, professionisti e giuristi che avevano svolto un ruolo di primo piano nello Stato nazista. Di conseguenza, si stese un velo su questo loro passato come su quello di un buon numero di tedeschi ordinari che erano stati dei nazisti convinti. Non a caso, uno dei rari giudici antifascisti sopravvissuti alla guerra, Fritz Bauer, si sentiva come uno straniero nel suo paese perché non voleva rinunciare a dare la caccia ai criminali di guerra e ai loro complici. «Quando lascio il mio ufficio mi sento come in un territorio nemico», scriverà nelle sue memorie.

C’è un’immagine particolarmente sinistra, e certo non casuale, nel libro. Quando il fratello del protagonista decide di riaprire la fabbrica di famiglia, le berline scure dei politici ricominciano a varcare il cancello dell’azienda, proprio come accadeva ai tempi del nazismo…

Sì, in effetti quella scena traduce una mia profonda convinzione. Credo esista una sorta di continuum storico che non viene messo in discussione neppure dalla caduta dei sistemi politici o degli stessi Stati nazionali e che è rappresentato dall’economia, dal sistema capitalistico. Molte delle più importanti industrie tedesche di oggi operavano, e con successo, già durante il Terzo Reich; regime grazie al quale avevano anzi prosperato ancor di più. Dopo il 1945, malgrado il loro coinvolgimento con i nazisti, queste aziende non sono state né liquidate né messe sotto tutela da parte delle autorità alleate, ma al contrario hanno potuto espandersi e raggiungere nuovi successi.

La vita di Konstantin corre per certi versi parallela a quella del padre, di cui emerge il terribile profilo attraverso brevi e inquietanti flash. Il romanzo sembra dirci che nessuno può davvero sfuggire al proprio destino.

Credo proprio che sia così. O perlomeno che è pressoché impossibile farlo di fronte ad un’ombra così scura e così grande come è quella che pesa su coloro che hanno avuto un padre non solo nazista ma che si è anche macchiato di crimini di guerra. Al di là del romanzo, lo si vede del resto ancora oggi attraverso i casi reali dei figli o dei nipoti dei dignitari del Terzo Reich che non riescono a staccarsi da questa triste eredità, da questo passato famigliare, che continua a imprigionarli.

Eppure, piuttosto che denunciare pubblicamente i crimini del padre e prenderne così le distanze, il protagonista sceglie di non farne parola con nessuno, compresi i suoi affetti più cari. E questo per tutta la vita. Perché?

È vero, da parte sua non si assiste mai a un’autentica ribellione. Ma questo accade per un motivo ben preciso: non può urlare o prendere a pugni un morto, non può allontanarsi da quella che è solo un’ombra scura e opprimente che si porta addosso. Un’ombra che, appunto, finisce per costringerlo al silenzio perché si è in qualche modo impossessata della sua voce. Solo nascondendo il passato del padre, Konstantin pensa che potrà vivere una vita almeno in apparenza normale.

Venendo alla realtà tedesca di oggi, una voce che sembra mancare è quella dell’opposizione di sinistra e dell’intellettualità critica, in particolare nelle regioni orientali dove crescono marginalità sociale, razzismo e nuove destre. Cosa è successo?

Credo che quanto si può vedere oggi nei länder orientali sia simile a quanto accade in altre regioni d’Europa, specie quelle toccate in misura maggiore dalla crisi. Vale a dire, la rinascita di un nazionalismo aggressivo che cerca di pescare nel malessere della società. Nel caso tedesco ciò accade sempre più spesso anche nelle zone occidentali, solo che il fenomeno ha acquisito più visibilità a est perché è qui che l’estrema destra ha cominciato ad inviare da tempo i suoi quadri più preparati e a indirizzare tutti i suoi sforzi organizzativi, dato il grande potenziale di rancore e di disillusione presente nella popolazione.

All’indomani della riunificazione tedesca lei ha parlato di «politica di annessione» da parte della destra dell’Ovest. Oggi come valuta le cose?

Malgrado ne auspicassimo una profonda riforma in senso democratico e non lesinassimo le critiche nei confronti della dirigenza della Repubblica Democratica, siamo cresciuti in un mondo in cui il sapere, la scienza e la creatività rappresentavano un valore. Ora per molti versi è il denaro ad aver preso il sopravvento. Contemporaneamente, sia in ambito accademico che un po’ in tutte le professioni, molti sono stati rimpiazzati da figure meno valide e preparate che venivano dall’Ovest. Così, già prima della crisi attuale tanta gente, non solo appartenente alla vecchia élite del Partito comunista, si è trovata senza lavoro e prospettive. In qualche modo, la società della ex Rdt è stata attraversata da una tempesta che non ha ancora finito di far sentire i suoi effetti. Sia nel bene come nel male.