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RECENSIONE || "L'età d'oro" di Joan London

Testata: L'officina del libro
Data: 14 luglio 2017
URL: http://officinadellibro.blogspot.it/2017/07/recensione-leta-doro-di-joan-london.html

Chiudete gli occhi e immaginatevi l'Australia, in particolare la tranquilla città di Perth tra gli anni '50 e '60 del Novecento. Un Paese che non ha conosciuto le atrocità della seconda Guerra Mondiale sulle proprie case, i raid tedeschi, i campi di lavoro. Una città ora colpita da un morbo che lascia storpi e inadatti anche per le cose più semplici: la poliomielite. Stiamo entrando nel romanzo di Joan London, "L'età d'oro", Edizioni E/O.

Frank Gold insieme alla sua famiglia è riuscito a scappare all'Olocausto fuggendo dall'Ungheria e prendendo al volo l'offerta di terra in Australia. Sopravvissuti e disagio in un Paese sconosciuto Frank prende la poliomielite. Viene prima ricoverato in ospedale e poi spostato in un sanatorio per bambini, il Golden Age. Qui incontra prima il suo amico Sullivan che lo inizierà alla poesia -fiamma di vita e creativa che lo accompagnerà tutta la vita- da dentro il polmone d'acciaio e poi l'amore della sua giovinezza Elsa, la ragazza senza cui non riesce a stare, un amore completo, la sua musa.

<< Venire a patti con la morte è un elemento necessario di ogni grande poesia [...] e sotto questo aspetto, Gold, noi abbiamo un discreto vantaggio. >>

<< Una volta che ti sei abituato alla tua condizione, l'immaginazione torna libera. >>

Elsa Briggs ha la stessa età di Frank anche lei con le conseguenze del morbo con gambe magrissime e spalle asimmetriche, ma in fondo ancora viva.

Tra loro nasce un sentimento puro, di amicizia, un legame forte come del resto quello che nasce tra tutti i giovani residenti del Golden Age: condividono camerate, lezioni e fisioterapia, i corpi steccati, i bambini più piccoli nostalgici di casa, la speranza di ricominciare a camminare, la consapevolezza di non essere mai più quelli di una volta.

La poliomielite faceva paura, non si conoscevano bene le cause del morbo e spesso la comunità si distaccava drasticamente dalle famiglie con figli affetti da questa malattia: mormorii, frasi smozzicate e sussurrate all'orecchio dal macellaio. Dall'altro lato le famiglie pressate dalla scomunica della città e dal pensiero che i figli non sarebbero mai stati autonomi spronavano e pretendevano progressi visibili dai propri figli, unica luce della loro vita, investiti di una responsabilità che non poteva appartenergli.

<< Era umiliante avere una figlia che si era presa la polio. Elsa aveva coperto di vergogna la famiglia. La gente si teneva alla larga dai parenti delle vittime della malattia. >>

<< Ora, sotto il suo sguardo, il cielo rallentò fino a trasformarsi in una sequenza silenziosa e interminabile di forme e di colori, come se stesse trasmettendo un messaggio. Elsa era stupefatta al pensiero di quanto lo avesse trascurato in tutti gli anni in cui era stata libera di andare dove voleva, col sole in faccia e il vento che le sibilava nelle orecchie. >>

Il Golden Age era un posto tranquillo in cui la nostalgia, sì, era di casa ma anche una residenza ovattata in cui le pretese e le aspettative dei genitori non penetravano. Frank e Elsa trovano l'uno nell'altro conforto, una routine rigida quanto serena imposta dalla signora Olive Penny direttrice dell'istituto, aiutata da infermiere competenti e dolci. Una grande famiglia in cui nascondersi da un mondo esterno che non riusciranno mai più a vivere con serenità. Dall'altra parte i due innamorati sentono che anche se la malattia gli ha portato via una vita rosea e un futuro radioso, li ha anche fatti incontrare e riescono ad apprezzare i minuti liberi dagli esercizi, senza stecche, le sere estive con la brezza che arriva dall'oceano ed entra dalla finestra, le camere linde, ambienti senza ammassi di roba, bianche.

<< Dove sarebbe andato se Elsa non fosse esistita? Cosa avrebbe fatto di tutti i sentimenti che si portava dentro? Lei era il suo punto di riferimento, il luogo in cui tornare. La sua via di fuga, il suo rifugio. [...] Ora capiva che tutto ciò che gli era capitato nella vita lo aveva guidato fino a lei. Che tutto era andato per il verso giusto. >>

Un romanzo all'apparenza come tanti, una storia d'amore tra giovani che cela sentimenti ed emozioni nascosti: l'Olocausto impresso nei ricordi dei genitori di Frank, la paura ormai radicata che i più deboli moriranno, il futuro incerto e la paura della società a vedere i ragazzi dopo la malattia rachitici e fragili. Joan London riesce a mescolare e ad amalgamare storie, riflessioni e poesia in un romanzo corale emotivo, sincero riuscendo a toccare i temi più svariati, dai più esistenziali ai più semplici. Il mondo del Golden Age ricorda un po' quello dei "Bambini speciali di Miss Peregrine", un luogo con le proprie regole, felice e che solo i suoi abitanti possono capire e apprezzare appieno, che desta la curiosità delle famiglie che in un primo momento sono restie ad andare a trovare i loro figli -non sanno come e cosa troveranno- ma che alla fin fine faranno fatica a tornare alle loro case vuote senza i figli prediletti.

<< È per questo che la razza umana continua a generare figli [...] per ricordare a tutti noi la felicità di essere amati. >>

"L'età d'oro" invoca una riflessione che spesso apprendiamo dai bambini o dai più bisognosi: basta poco, le cose basilari della nostra vita sono ciò che ci danno gioia, essere vivi, una giornata al mare, una chiacchierata, un libro, una bibita fresca, una grande amicizia che sboccia in un amore, un sogno inseguito. Frank ha le sue poesie, Elsa scopre che in Frank trova più di un conforto, le famiglie si accorgono di quanto siano meravigliosi i loro bambini anche con le sequenze della poliomielite. Dall'altra parte si crea con forza uno spazio dedicato agli Europei emigrati dopo la seconda Guerra Mondiale in paesi con una monarchia e non democratici, in usanze per loro superate che subito fanno rizzare i peli delle braccia e dopo creano conforto quasi come se fossero di nuovo a casa.

Che cosa chiamiamo casa? Per Joan London "casa" è dove abbiamo i nostri affetti, dove ci porta il cuore, non sempre il Paese geografico più semplice o più comodo o dove siamo cresciuti, ma dove alla fine il nostro destino ci porta a stare.

COPERTINA 7,5 | STILE 8 | STORIA 8,5 | SVILUPPO 8,5