Non c'è noir stavolta, niente mistero nell'ultimo libro di Carlotto. Sì, l'assassino c'è ma si scopre il colpevole già dalle prime battute. Ma non per questo si alzeranno gli occhi da Niente più niente al mondo, e/o (pp. 69, 7 euro) prima della parola fine. Comunque non vi riveliamo l'epilogo anche perché non muterebbe nulla. Se si resta incollati alla narrazione sarà per un bisogno di una via di fuga al qadro dipinto dal monologo di una donna confusa, prima che dal vermouth di bassa qualità, dalla precarietà in cui piomba la sua famiglia, una "normale" famiglia torinese, ora che la Fiat non c'è più. Ci lavorava il marito che, per andare a spaccarsi la schiena su un "muletto" di una piccola azienda, ha dovuto rinunciare allo status di metalmeccanico e stracciare la tessera del sindacato. E con lei se ne sono andati in pezzi lo stato sociale, la classe operaia, la solidarietà e perfino il desiderio sessuale.
Da Nordest, dove il suo alter-ego Alligatore indaga sull'intreccio tra globalizzazione liberista e globalizzazione del crimine, lo scrittore padovano transita a Nordovest dove quell'intreccio rivela, agli occhi di una quarantacinquenne dei quartieri un tempo operai, nient'altro che una "vita da discount". E senza legami sociali che non siano quelli astiosi di chi - ben ammaestrato dai registi del senso comune - si percepisce invaso dagli immigrati. E in cui le uniche navigazioni possibili sono tra i prezzi stracciati dei centri commerciali e i reality televisivi. Per finire il sabato tutti insieme col naso appiccicato a una vetrina piena di cose che non ci si potrà mai permettere. Se da giovane, almeno, la donna sperava di vedere il "cielo in una stanza" ora scopre che quel baluginare azzurro non è altro che televisione, cattiva televisione, vista dietro le quinte del proprio personale reality. Ecco spiegati i versi di Gino Paoli nel titolo. Niente più niente al mondo servirà a rimettere a posto le cose. Perché le cose non sono altro che merci. «Devo mettere a posto la spesa», dice già alla prima riga, ma se nel frigo dei ricchi il tonno è davvero tale, in quello delle famiglie normali il tonno diventa il meno pregiato squalo. E' l'insicurezza del futuro che ti divora. «I soldi aiutano a non dover pensare solo ai soldi». La donna è sola e lontana dalle parole. Il monologo, infatti, è un racconto a se stessa non al lettore. «Per parlare si parla ma non di noi stessi... Quando dobbiamo parlare di qualcosa di nostro diventiamo tristi». Chi mai può collezionare quelle bambole o quei coltelli venduti in edicola? Chi potrà vivere blindato dietro porte massicce in case da quattro soldi in quartieri dove negli ultimi giorni del mese crollano i consumi di latte? Il monologo è l'unica voce della solitudine, da un lato, e dall'altro il modo per captare le risposte nel flusso di pensiero della protagonista.
Di lei non sapremo il nome ma solo che lascerà che esploda in una famiglia ridotta all'osso - lei, lui e la figlia - il peso di una guerra di classe che è incapace di leggere se non con gli stereotipi della tv. E di fronte all'irrecuperabile non avrà di meglio da invocare se non Fede o il giudice Licheri.
Carlotto continua a sperimentare: dal noir mediterraneo passa al racconto per bambini, vira sul cinema, realizza reportage, si fa fare a fumetti da Palumbo (vedi il recente L'ultimo treno ambientato nella guerra civile spagnola, edizioni Bd (pp. 48, 8 euro) e ora prova un monologo che Gisella Bein, dell'Assemblea Teatro di Torino, porterà in giro da gennaio. Anche se cambia genere il racconto continua a voler essere assolutamente politico come può esserlo un rapporto Istat o come un depliant dei supermercati, di quelli che giovanissimi precari infilano nelle cassette delle lettere dei casermoni popolari. E' un pezzo di inchiesta solo travestito da fiction. E' l'altra faccia del rapporto Censis che scopre solo ora la paura di diventare poveri degli italiani dopo aver provato a convincerli che fossero proprio loro a desiderare flessibilità e privatizzazioni. Il serial killer è il nuovo che avanza(va).