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«Il club dei bugiardi» di Mary Karr

Autore: Elisabetta Bolondi
Testata: SoloLibri
Data: 19 novembre 2017
URL: http://www.sololibri.net/Il-club-dei-bugiardi-Mary-Karr.html

È la stessa scrittrice americana Mary Karr, autrice coraggiosa ed anticonvenzionale di questo memoir sulla sua incredibile vicenda familiare, ad affermare nella introduzione al romanzo:

“Ho preferito scrivere ‘Il club dei bugiardi’ sotto forma di libro di memorie anziché di finzione: perché perdere tempo a inventarsi qualcosa quando il destino ti circonda di personaggi simili?” Mary e Lecia sono due bambine di poche anni, vivono a Leechfield, nel Texas orientale, con i loro genitori: siamo nel 1961; il padre, sopravvissuto allo sbarco in Normandia, lavora duramente in una delle numerose raffinerie che stanno rendendo miliardari i petrolieri della zona, è un uomo bello e rude, la sua vita oltre il lavoro si svolge con i colleghi che hanno dato il nome di Club dei bugiardi alla loro Associazione di ex combattenti. La madre invece è il personaggio centrale del libro: bellissima, artista fallita, folle, Charlie Marie è arrivata in Texas da New York dopo molti matrimoni falliti, di cui però non racconta nulla; incapace di gestire le due figlie, beve, fuma, dorme, si annoia, è spesso “nervosa”; solo quando arriverà in casa la madre, malata di cancro, a concludere in questa assurda famiglia la sua vita, dispensando ordini e non lesinando feroci critiche, che spingono il padre delle bambine fuori di casa, Charlie sembrerà rientrare in sé: assiste sua madre fino alla morte, ne diviene erede, e a quel punto però riprende a bere forsennatamente, e decide di lasciare suo marito, fuggendo con le figlie in Colorado. Impossibile seguire tutte le peripezie che Lecia e Mary, voce narrante della storia, sono costrette a subire nel corso della loro drammatica e comica giovane vita: la madre in manicomio, coltelli e pistole, tentativi di suicidio e mancati omicidi, pasti improbabili, spostamenti continui, partner delle madre che si avvicendano, e purtroppo, una terribile violenza sessuale che la piccola Mary, di appena sette anni, subisce in silenzio da un precario baby sitter a cui era stata imprudentemente affidata, e che è incapace di denunciare, terrorizzata dalle conseguenze che ne sarebbero scaturite.

“Il club dei bugiardi” ci accompagna nelle contraddizioni feroci della America più profonda, tra ottusi benpensanti e dissennati contestatori ante litteram, quali sembrano essere i genitori delle due bambine, cresciute rapidamente in un contesto nel quale era ben difficile sopravvivere senza troppi danni, fisici e psicologici. Mary Marlene riuscirà da adulta a raccontare episodi sconcertanti, quasi incredibili, con una grande abilità di scrittura che le conferirà un successo travolgente: centinaia di lettere di persone che nel tempo avevano subìto in famiglia violenze di ogni tipo, troveranno nelle coraggiose confessioni contenute in “Il club dei bugiardi” una forma di identificazione e il coraggio di processare episodi sottaciuti e di renderli manifesti. La famiglia sui generis descritta con dettagli sconcertanti ne “Il club dei bugiardi”, alla fine si rivela molto più solida di tanti nuclei di conformisti benpensanti: nella conclusione del memoir, la dedizione con cui la narratrice e sua madre assistono il padre a lungo invalido restituiscono il grande senso degli affetti profondi che legano gli individui, soprattutto alla fine di vite che sembravano fuori di ogni senso. La solitudine dell’infanzia, la paura di perdere le sicurezze che i genitori soli possono offrirci, le paure generate da adulti violenti e anaffettivi, l’allontanamento forzato dai luoghi d’origine, la perdita degli affetti, tutto questo ci racconta Mary Karr in questo libro originale, potente, coraggioso; la sua scrittura ricca di suggestioni, di metafore ben costruite, di citazioni colte, mai forzate, parla di un lavoro potente, doloroso e profondo, che l’autrice ha fatto su di sé nel corso del tempo; un’affermazione che compare nell’introduzione de “Il club dei bugiardi” sintetizza efficacemente questo scavo interiore, di cui la scrittura non è che il maturo risultato:

“Qualsiasi nucleo composto da più di una persona è una famiglia disfunzionale. In altre parole, la barca su cui mi capita di sentirmi tanto sola in realtà ci ospita tutti”.

La condizione dell’infanzia, la solitudine dell’abbandono, l’angoscia, l’insicurezza, la paura, sono raccontate tuttavia con una forma di speranza, di ottimismo, di capacità di guardare avanti sicuri che l’amore alla fine può insegnare a conoscere e a prevalere su ogni anomalia, ogni stortura.