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La condivisione del dolore

Autore: Laura Pezzino
Testata: Vanity Fair
Data: 16 maggio 2018

Stupro. È questa l’esperienza orribile che ho vissuto. Dobbiamo almeno imparare a pronunciare la parola. Facciamolo tutti insieme, d’accordo?». Nel 1999, Alice Sebold esordì così al primo reading di Lucky.

Il memoir in cui, con una lucidità quasi cinematografica, racconta della violenza subita a 18 anni quando era matricola alla Syracuse University torna nelle librerie con una sua nuova introduzione. L’autrice, diventata famosa nel 2002 per Amabili resti (poi anche ilm diretto da Peter Jackson), spiega come «alla luce di un’elezione presidenziale in cui l’esperienza delle donne è stata considerata irrilevante, se non addirittura falsa, da milioni di americani, è stato diicile scrivere con animo lieto». Lucky signiica «fortunata» e senza ironia: Sebold riconosce che, se non fosse stata bianca, vergine e middle-class, le cose potevano anche andare peggio. Il suo aggressore venne arrestato (era un nero) e lei ne è uscita viva.

In questi giorni, i media traboccano di storie come quella della ragazza spagnola i cui stupratori si sono presi solo 9 dei 20 anni di carcere che gli sarebbero spettati, o come quella dello scrittore premio Pulitzer Junot Díaz (La breve favolosa vita di Oscar Wao), che in un magistrale pezzo sul New Yorker ha reso pubblico lo stupro subito da bambino. «Ho conosciuto Junot a Roma nel 2007 a un party organizzato dal mio editore», mi dice Alice. «Quando ho letto quel pezzo ho urlato dalla gioia! Per quanto fosse profondo il dolore che descriveva, l’ho letto con un senso di gioia travolgente perché, inalmente, era riuscito a parlarne. Ogni vittima, uomo o donna, che racconta la propria storia fa diminuire il senso di isolamento provato da chi ancora non ha parlato. Il suo pezzo è un dono».

La psicologa e scrittrice Edith Eger, sopravvissuta ad Auschwitz, nel suo memoir La scelta di Edith distingue tra l’«essere vittima» e il «sentirsi vittima». Che cosa ne pensa?

«Brava Edith! Nessuno dovrebbe essere costretto a usare un’unica parola per descrivere se stesso. Io sono una vittima di stupro, un’amante dei cani, una scrittrice. La speranza è che la direzione del viaggio sia dal sentirsi vittima all’essere stato vittima. E se lavori duro, il trauma può anche generare luce in modo inaspettato».

Qual è il futuro del movimento MeToo?

«Siamo a un momento di svolta. Molti uomini sono stati accusati di vari tipi di cattivi comportamenti. Ora bisogna esplorare quali siano state le dinamiche che hanno favorito queste condotte e sradicarle. Così come ogni vittima ha la propria storia unica, anche gli uomini dovrebbero essere giudicati colpevoli caso per caso. Nei casi di Cosby e Weinstein c’era un chiaro schema di abusi durato anni. Per altri, come per Bush padre, io vedo più un comportamento che era il risultato di ciò che era giudicato accettabile a livello culturale. MeToo ha l’opportunità di cambiare la deinizione di ciò che è accettabile o no».

Leggendo Lucky viene da pensare: «Se lo ha fatto lei, allora posso farlo anche io», cioè scrivere di eventi così dolorosi. Come ha fatto? «Penso che debba subentrare una certa freddezza. Deve passare del tempo, di modo che quello che è successo non sia più “attivo” nella tua vita. Non bisogna nemmeno aspettare troppo, per non perdere la memoria e il fuoco necessari per scrivere».

Ha dei consigli?

«Condividere la propria storia con qualcuno che vi ama è il ponte che ti riporta nel mondo».