Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Ho letto “Una scacchiera nel cervello” di Alain Gillot

Testata: Riccardo Caldara's blog
Data: 12 giugno 2018
URL: http://www.riccardocaldara.net/?p=14712

Non pensate che sia sempre facile essere incazzati. Certe volte fa piacere scoprire di essere stupidi come gli altri. Sorpresona. L’avevo comprato al Salone del Libro di Torino senza saperne nulla. Mi sono trovato di fronte a una storia originale, una narrazione ben congegnata, insomma è un libro straordinariamente bello. L’autore è un francese sessantacinquenne, già giornalista sportivo e sceneggiatore. Ha pubblicato La surface de Réparation, è il titolo originale, nel 2015 da Flammarion. Per edizioni e/o è uscito l’anno dopo con la traduzione di Silvia Manfredo. Una scacchiera nel cervello ha per protagonista Vincent, allenatore di calcio professionista dopo una carriera da giocatore chiusa anzitempo a causa di un incidente di gioco ad un ginocchio. Dopo ha preso il patentino da allenatore e ha trovato un ingaggio nel Sedan, società che con alterne fortune ha militato nelle serie minori del calcio francese. Nella città delle Ardenne Vincent ha un buon stipendio, una casa come benefit e la squadra di ragazzini tredicenni da allenare. E’ un solitario, ha rotto i ponti con la famiglia e mantiene qualche contatto con la sorella Madeleine che ha una vita alquanto disordinata a Parigi. E’ proprio lei che piomba una sera a casa sua lasciandogli il figlio Léonard, anch’egli di 13 anni. Solo per una settimana, dice. Infastidito perché il suo tran tran ‘casa-allenamento-casa’ viene interrotto, Vincent si adatta a ospitare questo nipote che neanche conosce, che gli dà del lei e che si porta sempre appresso una scacchiera. Léonard è un ragazzo particolare: anche lui è un solitario, peggio, non parla e non lega con nessuno. Lo zio scopre che ha solo gli scacchi per la testa. Da bambino infatti è stato abbandonato per interi pomeriggi in un bar dove la gente giocava interminabili partite a scacchi. Si è così imbevuto il cervello di mosse, aperture, partite, tanto da ragionare ormai soltanto in termini scacchistici. Vincent lo trascina contro la sua volontà al campo per gli allenamenti. Al calcio non è minimamente interessato, troppo semplice rispetto agli scacchi. Qualcosa invece cambia quando lo zio gli fa vedere una partita storica della sua sterminata collezione di dvd, poi un’altra e un’altra ancora. Il cervello di Léonard immagazzina ed elabora decine di incontri di calcio secondo una sua organizzazione mentale che si rifà sempre alle strategie sulla scacchiera. In breve, scopre di avere anche delle attitudini per giocare al calcio e prova con successo a ricoprire il ruolo del portiere. Si rivela un fenomeno. Il segreto è che ha memorizzato tutti i possibili tiri in porta che si possono effettuare durante una partita. Altro miracolo è che Léonard ha iniziato a rapportarsi con i compagni. Ma non è tutta qui la storia. La vicenda si sviluppa lungo i rapporti familiari di Vincent: le vicissitudini di Madeleine, la madre in fin di vita per un cancro, la figura del padre alcolizzato, morto suicida anni prima ma con il quale non ha mai fatto i conti. In più c’è questo nipote difficile da collocare socialmente perché, si scoprirà, è affetto dalla sindrome di Asperger. Per fortuna una neuropsichiatra infantile li indirizza sulla strada giusta per superare i preconcetti derivanti da questa diversità. “Per schematizzare noi classifichiamo i nostri pensieri in scatole che si sono formate nei nostri primi anni di vita e che ci permettono di orientarci… Un Asperger non possiede queste scatole. Non si sono formate nel suo cervello per ragioni genetiche e dunque le deve inventare di volta in volta… Per dirla in modo molto banale, è come un marziano di passaggio sulla Terra… Non dorme come dormiamo noi. Non ama essere toccato. Non mente mai. Parla in maniera pedante…”. E’ un libro incredibilmente bello, positivo, gioioso, che lascia un sentimento di speranza per superare le inevitabili avversità della vita e di fiducia negli altri. Troppo buonista, dirà qualcuno? Ma ce n’è bisogno, oh se ce n’è bisogno. Anche in letteratura. Non vedo l’ora di raccontarlo e poi di farlo leggere ai miei nipoti.