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Il nero si addice a Trieste

Autore: Giancarlo De Cataldo
Testata: La Repubblica
Data: 15 giugno 2018

Venezia era una città di reminiscenze nostalgiche; Trieste, come gli Stati Uniti, aveva il vantaggio di non possedere un passato. Plasmata da una variopinta varietà di mercanti-avventurieri italiani, tedeschi, inglesi, francesi, greci, armeni ed ebrei, non era schiacciata dal peso della tradizione». Così Karl Marx sul New York Daily Tribune (1857) spiegava agli americani il miracolo di una città dalla tumultuosa e felice crescita economica: col cosmopolitismo, lo spirito d’avventura, l’intraprendenza, l’apertura verso il mondo, un’accorta politica di integrazione. Possibile, allora, che in città dalla così nobile tradizione scorrazzino squadracce di fanatici vigilantes a caccia di stranieri? Possibile, se «la memoria culturale dell’uomo va perduta nel giro di tre generazioni» e «persino la capacità di conservare i ricordi di un anfibio come il Proteus Anguinus Laurenti supera di migliaia di anni un simile lasso di tempo». Ci si imbatte in questa acre riflessione un po’ prima della metà di Ostracismo, l’ultimo e molto riuscito romanzo di Veit Heinichen. Il rimando al Proteus, piccola e singolare creatura che dimora nelle acque sotterranee del Carso, non è affatto casuale. Ostracismo è l’ennesimo capitolo della saga di Proteo Laurenti, commissario salernitano trapiantato a Trieste, dove ha trovato amore, famiglia, integrazione e buona tavola.

Il proteo del regno animale è cieco, addirittura privo di occhi. Così il commissario Laurenti, che cieco non è affatto, a volte dà l’impressione di “brancolare nel buio”. Ma, in realtà, da bravo proteo, lui sta esplorando il buio. E se ci appare talora svagato, è perché vuol farcelo credere: come l’anfibio anche Laurenti ha un’eccezionale bravura nell’adattarsi a ogni sorta di condizione ambientale, anche la più avversa. Merito della capacità di sviluppare i sensi vicari: non vedi? Allora sentirai meglio. O, come nel caso di Laurenti, entrerai meglio in empatia con i tuoi simili. Proteo, infine, è il dio della metamorfosi, emblema del dinamismo e, ancora una volta, dello spirito di adattamento. Un dio che dovrebbe essere caro a tutti i figli della frontiera. Come è appunto Heinichen, tedesco del Baden- Württemberg con un passato da editore, triestino per vocazione (e scelta sentimentale). Dalla frontiera, dice Heinichen, si impara ad aprirsi, a condividere, a giudicare quando è strettamente necessario, a mescolarsi. La gente di frontiera ha perfetta contezza dell’ineluttabilità dei confini, siano essi fisici, culturali, linguistici. Ma proprio per questo è portata a valicarli, a cercare il contatto con l’altro. Al contrario dei gruppi più interni, che tendono a chiudersi ancora di più: erigendo steccati, impiantando recinti, tirando su muri invalicabili. Ostracismo è una perfetta illustrazione del contrasto fra lo spirito della frontiera e le comunità chiuse. C’era una volta un bravo diavolo di nome Aristèides. Greco per parte di madre, titolare di un locale. Un giorno ha la malaugurata idea di accusare di corruzione il ras politico del posto, una sorta di ducetto fuori tempo massimo. Mal gliene incoglie. Vittima di un complotto, finisce in galera per vent’anni. Fulminato, come il suo illustre omonimo ateniese, dell’ostracismo dei benpensanti. Ma poi, scontata la pena, torna. Per rifarsi una vita come cuoco, in un locale dall’insegna evocativa, “Avviso di garanzia”. E per vendicarsi in stile Edmond Dantès. Nel frattempo, qualcuno spinge giù da un balcone una donna d’affari interessata al porto, vero centro di potere della città, i cattivi di sempre sono colti da comprensibili attacchi di panico, vecchi rancori mai sopiti ritornano alla luce e i vinti di un tempo possono – forse – aspirare a un po’ di giustizia. A indagare, ovviamente, Proteo Laurenti e la sua squadra decisamente comedy, con la procace Marietta e l’austera Pina e la sua famiglia alquanto stramba (da segnalare l’anziana patriarca ossessionata dalla Nutella e un figlio aspirante chef). Inutile aggiungere che, una volta di più, la vera protagonista è Trieste: perché Heinichen è tanto critico quanto profondamente innamorato di questa magnifica città che stregò Rilke e Joyce. Ultima notazione: non tutto è risolto, in Ostracismo. Non tutte le sottotrame che si intrecciano sono concluse, non tutti i destini dei personaggi compiuti. Quando gli ho posto la questione, Heinichen mi ha spiegato che, se un romanzo è anche uno specchio dei tempi, questi sono tempi in cui non è semplice approdare a una qualunque conclusione. Anche perché, ha tagliato corto, ironico, non siamo mica i fratelli Grimm, non abbiamo più l’obbligo del lieto fine.