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Massimo Carlotto racconta «Quando i migranti eravamo noi»

Autore: Federico Di Bisceglie
Testata: Il Resto del Carlino
Data: 11 luglio 2018
URL: https://www.ilrestodelcarlino.it/ferrara/cosa%2520fare/massimo-carlotto-racconta-quando-i-migranti-eravamo-noi-1.4030836

«Non c’è nessun libro nuovo ma, vista l’attualità dei temi che vengono trattati, mi hanno chiesto di ristamparlo». Massimo Carlotto, giornalista e scrittore noir, sarà l’ospite d’onore della prima serata di ‘Autori a Corte’, stasera a Factory Grisù, in via Poledrelli 21, a partire dalle 21.30, e presenterà ‘Cristiani di Allah’ (E/O edizioni), preceduto dalle 20 da Marco Gulinelli, Sergio Gnudi e Carlo Degli Andreasi. Inizia infatti questa sera alla Factory Grisù la rassegna dedicata al mondo letterario che proseguirà fino al 31 luglio.

Carlotto, dal 1500 (epoca in cui è ambientata la sua opera, ndr) al 2018, parlando di immigrazione. La tematica è attualissima ma qual è la sua chiave di lettura del fenomeno migratorio?

«Si, è per questo che, a dieci anni di distanza dalla prima pubblicazione dell’opera, si è resa ‘necessaria’ una ristampa. Il mio libro parla del periodo storico in cui noi europei eravamo migranti, appunto nel sedicesimo secolo, partendo dalla vicenda di due Lanzichenecchi. La migrazione è un evento a cui non ci si può opporre, è fisiologico».

Non la pensano così nei palazzi di Roma…

«Infatti, io non condivido affatto le posizioni del Governo. Per gestire i flussi migratori dal mio punto di vista l’ultima cosa da fare è chiudere i porti. È chiaro che il mio libro e il mio pensiero sono radicate a un’idea di una società che non respinge ma che accoglie».

È oggettivo che in Italia ci siano grossi problemi legati ai flussi miratori. Secondo lei come andrebbero gestiti?

«Essendo l’immigrazione un fenomeno fisiologico, andrebbe gestito organizzando meglio l’accoglienza. Accogliere i profughi non è solo un segno di civiltà, ma un dovere sociale e morale che attiene al principio della solidarietà».

Ritornando al libro: si può parlare di un testo che in un certo senso guarda all’immigrazione dalla prospettiva di chi è costretto a emigrare?

«In un certo senso sì. Diciamo che, trattandosi di un romanzo storico, ho cercato di descrivere quelle che erano le peculiarità di una migrazione di massa di paesi europei al Maghreb. In particolare ho dedicato molta attenzione alla storia della grande città di Algeri».