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Camerati, la ricina è servita! Parola di Aristèides

Autore: Roberto Ellero
Testata: Ytali
Data: 2 agosto 2018
URL: https://ytali.com/2018/08/01/camerati-la-ricina-e-servita-parola-di-aristeides/

Alla voce Trieste l’ormai ricca e diffusa mappa dell’Italia letteraria in nero, o poliziesca se preferite, segnala l’autorevole presenza di Veit Heinichen, tedesco di nascita e triestino d’adozione, classe 1957, stabilmente nella città giuliana dal 1997, un passato nell’editoria prima di approdare alla scrittura, scegliendo questo suo luogo di elezione quale scenario privilegiato di una narrativa tradotta in parecchie lingue e oggetto, in Germania, di seguitissimi adattamenti televisivi.

Capita sovente che le città “scelte” siano più amate e comprese di quelle natìe, per via di un “desiderio” che, quando c’è ed è autentico, surclassa ampiamente la monotonia e l’inerzia delle abitudini, magari – Venezia insegna – scambiate banalmente per tradizioni. Ma non è affatto detto che questo amore sia cieco. Tutt’altro. Nel caso di Heinichen, l’amore per Trieste – testimoniato anche da un baedeker scritto insieme alla chef Ami Scabar, “Trieste. La città di venti”, curiosissimo di preziosità culturali, artistiche e culinarie – viaggia esattamente sulla complessità, sul fascino e sulle contraddizioni di una città eternamente in bilico, di confine in tutti i sensi, crogiuolo di culture e di mondi altrimenti separati: nordica e meridionale insieme, naturalmente italiana e mitteleuropea, ma anche veneta, specie nella parlata, e poi balcanica, slava, greca. L’occhio attento di uno straniero su una città straniera. Esattamente quel che ci vuole.

Altrettanto non casuale, naturalmente, che l’alter ego letterario dell’autore sia un triestino parimenti non autoctono, quel commissario Laurenti, da Salerno, che di nome fa Proteo. Nella mitologia greca era figlio di Oceano e di Teti, camaleontica divinità marina capace di cambiare forma, mentre fra le grotte del Carso protei sono quegli anfibi ciechi anguilliformi che vivono fra gli anfratti in assenza di luce. Nomen omen? Mica troppo, abbiamo appena detto che l’occhio dello straniero ci vede benissimo, e aggiungiamo che Proteo Laurenti è persona a modo, riflessiva e ragionevole, tutt’altro che umorale, borghesemente assorto nella normalità di una famiglia senza particolari problemi, magari qualche scappatella in passato e ora un figlio con il pallino della gastronomia ma senza le idee troppo chiare. Cose superabili insomma. Anche se in una città come Trieste “vedere” davvero non è sempre facile, come pure tenere la schiena dritta.

In “Ostracismo”, ultimo romanzo di Heinichen (edizioni e/o, traduzione dal tedesco di Monica Pesetti), ne sa qualcosa il vero protagonista, Aristèides Albanese, che si è appena fatto diciassette anni di carcere per un omicidio che in realtà era legittima difesa. Così anche nelle testimonianze dell’epoca, poi rapidamente ritrattate in tribunale, sino al verdetto di colpevolezza.

Ad indagare, anche allora, Proteo Laurenti, alle prime armi, non troppo consapevole oppure incapace, per giovanile ignavia, di contrastare la trappola che andavano preparando ai danni di Aristèides, colpevole piuttosto di aver scoperchiato certi altarini intorno agli affari del porto. Affari della politica locale, orientata a destra ma non senza coperture anche a sinistra, loschi naturalmente e consistenti nel danneggiare i traffici locali favorendo i porti di Koper (Capodistria, per via dell’endemico sistema corruttivo, è detto, imperante in Slovenia) e – udite, udite – Venezia.

Qui l’autore non va oltre ma da profani più volte ci siamo chiesti come mai le grandi navi da crociera abbiano messo radici in laguna, con tutti i rischi, le divisioni e le incertezze del caso, piuttosto che a Trieste, dove la profondità dei fondali, la vastità delle banchine e l’ampiezza del contesto ambientale avrebbero ben diversamente giustificato la scelta. Soltanto per l’ebbrezza di entrare nella città unica al mondo scrutandola dall’alto?

Sia come sia, Aristèides torna in città, trasandato nell’aspetto ma determinato nei suoi obiettivi. In carcere ha imparato a cucinare, gli basta poco per imbandire tavole da gourmet. Per il momento cucina per gli immigrati, nella mensa di un prete che sfida quotidianamente i fasci praticando l’accoglienza, ma con l’ex compagno di cella Aahrash, giovane pakistano persino più innocente di lui, ha in mente l’idea beffarda di aprire l’Avviso di Garanzia, un ristorantino raffinato e meticcio dalle parti del Tribunale, giusto per far sapere alla Trieste che conta che lui, il Greco (per via del nome e di lontane origini elleniche per parte di madre), è tornato. Con le migliori intenzioni. Ma quelli che gli hanno inflitto diciassette anni di carcere da innocente mica se la possono cavare con uno spuntino…

Per loro – inguaribili nostalgici del ventennio – Aristèides ha in mente dei succulenti pranzetti a domicilio, conditi con bacche di ricina, da cui quel poderoso lubrificante intestinale noto come olio di ricino, impiegato per la prima volta dagli adepti del Vate durante l’impresa fiumana, destinatari gli slavi che non volevano sentirsi italiani, e poi su larga scala dalle squadracce fasciste ai danni degli oppositori. Diciamo, nel caso nostro, una purga dantesca al sapore di contrappasso. E il primo “cliente”, già malmesso di suo, ci lascia le penne. Anche Laurenti comincia a capire e non è detto che sia troppo tardi per rimediare alle ingiustizie, di ieri e di oggi. Tanto più che i misfatti del passato continuano a confondersi con quelli del presente se un’armatrice britannica, propensa ad investire a Trieste, vola dal quarto piano non certo per depressione.

Come si sarà capito, Heinichen si muove nei territori del noir sociale. Le sue trame letterarie s’intrecciano con quello che le cronache di tanto in tanto vanno segnalando, non sempre con i suggerimenti di lettura che l’immaginario narrativo può ben permettersi. E i suoi romanzi, pur accomunati dalla presenza di un medesimo investigatore, con la sua bizzarra squadra di poliziotti, si fanno volentieri corali, dando il giusto risalto ai comprimari che di volta in volta sono chiamati ad intervenire.

Nel caso di “Ostracismo” non si parla del solo Aristèides. Una memorabile presenza, ad esempio, è zia Milli, la donna che l’ha allevato, una vita al bordello, ora con la maschera di ossigeno alternata all’ennesima sigaretta, sulle alture del Carso, in un appartamentino degli alveari popolari dove non è detto che l’umanità sia più reietta che nei quartieri della Trieste bene. Anzi, a ben vedere il marcio sta preferibilmente in centro.