Se Amanti, il romanzo breve del francese Daniel Arsand, fosse stato un film sarebbe stato sicuramente un muto composto di immagini bozzettistiche, ma ricche di richiami festosi e ribollenti desideri consumati. Come in quelle vecchie pellicole con Greta Garbo, pensiamo a La carne e il diavolo, in cui la passione lenisce e riempie, costruisce e distrugge per lasciare alla fine il vuoto della solitudine e del rimpianto, le parole che fluttuano sulla carta di questo testo, pubblicato da edizioni e/o, assomigliano ad un velleitario quanto affascinante richiamo pittorico dell’epoca settecentesca pur con la differenza che l’immaginazione conduce il lettore alla quintessenza della forma dei colori teatrali rispetto alla magia del cupo bianco e nero di quel cinema della seconda metà degli anni Venti. Arsand racconta, in poco più di cento pagine e in cento capitoletti che sembrano quasi quadri stilizzati in una comunione di figure ed oggetti, luoghi e paesaggi, la Francia di Luigi XV. E con i colori e le immagini si fanno largo forti ed imperturbabili le regole irreprensibili dei costumi sociali, la clandestinità delle passioni, degli amori, specie se questi amori sono consumati fra ceti differenti e tra persone dello stesso sesso.
La natura bucolica del pastore quindicenne Sébastiene, la purezza della sua anima, l’innocenza della sua mente e la bellezza scultorea del suo corpo, deve fare i conti con la violenta e placida accondiscendenza delle regole non scritte dell’aristocrazia e della società. La clandestinità della sua unione carnale, morale e culturale con l’aristocratico Balthazar de Créon, folgorato e distrutto dall’amore provato per il giovane, ci riconduce ad un affair già troppe volte inciso nel baratro delle unioni schiacciate dalla Storia, ma per questo non necessariamente distrutte nell’orgoglio della loro forza. E come in un ritornello ossessivo la fine ci sembra già nota, tra diversi passati la fine di Balthazar ricorda quella cronologicamente successiva- doveroso citarla- di Oscar Wilde che fu accusato, arrestato, processato e imprigionato per sodomia nell’Inghilterra perbenista del tardo regno vittoriano. Una scrittura commistionata dal peso delle arti e dalla distanza che frappone il momento della scrittura di questo romanzo con il tempo di ambientazione non ha danneggiato l’essenza del racconto che rimane genuino, asciutto, con uno stile essenziale che rimanda a quello magico della struttura fiabesca con tutti i suoi topoi, ma con la differenza di una realtà traditrice.