Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Quelle città corsare abitate da «rinnegati» e migranti

Autore: Ernesto Milanesi
Testata: Il Manifesto
Data: 8 agosto 2018
URL: https://ilmanifesto.it/quelle-citta-corsare-abitate-da-rinnegati-e-migranti/

Pubblicato dieci anni fa, Cristiani di Allah (e/o, pp. 208, euro 15) è ritornato in libreria con l’introduzione dello scrittore algerino Amara Lakhous che definisce il romanzo di Massimo Carlotto «sciasciano per eccellenza». All’epoca conteneva anche il cd con la trasposizione teatrale del testo: l’autore come voce narrante affiancato dalla cantante Patrizia Laquidara e dai musicisti Rachele Colombo, Maurizio Camardi, Mauro Palmas e Mirco Maistro.

Tuttora, Cristiani di Allah ha conservato intatta la potente «contronarrazione» della storia che intreccia la corsa dei pirati nel Mediterraneo con la libera conversione delle fedi. Carlotto (che ha raccontato Padova a Giuseppe Sansonna per «Terre d’autore» della Rai e sta completando il nuovo romanzo «non seriale» in uscita nel 2019) rivela la genesi del suo testo: «Ho avuto un raro privilegio, perché per una felice congiuntura si è concretizzato l’accesso a una mole straordinaria di documenti. Grazie all’Istituto italiano di cultura e agli amici scrittori algerini, l’allora ministra della cultura mi ha aperto le porte della Cittadella di Algeri».

E Cristiani di Allah è ambientato nel 1541, quando la capitale algerina non rappresentava certo la sponda minore del mare. Redouane, giovane albanese, abbraccia l’islam per vivere da corsaro. Convive con Othmane, ex lanzichenecco tedesco. Una coppia che nella cittadella di Algeri non rischia il destino cristiano riservato ai «sodomiti». Poi «canta» Lucia, bellezza della Serenissima nel ruolo di moglie-schiava con un destino incompiuto. Carlotto restituisce il clima della vigilia dello sbarco delle truppe dell’imperatore Carlo V: verranno sconfitte da Hassan Agha, che regge Algeri a nome del sultano.

«Ai tempi del romanzo, i paesi protestanti del Nord Europa compravano ai corsari le merci che erano state saccheggiate al papato. Succedeva che le confraternite ebraiche riscattavano i correligionari ridotti in schiavitù. Ma quando la nave lasciava le città corsare, era spesso assalita dalla flotta cristiana che imponeva un nuovo riscatto per la libertà. A proposito di ebrei, c’è una sorta di procedura particolare nel caso in cui avessero voluto abbracciare l’Islam. Era esplicitamente richiesto di convertirsi prima al cattolicesimo. Due anni in chiesa per poter passare alla religione musulmana», spiega Carlotto.

Una storia rimossa, dimenticata, dissonante rispetto agli stereotipi dell’attualità?

Le città corsare allora erano, di fatto, governate dai «rinnegati», che mantenevano ben separato il potere dalle fedi. Così si godeva una libertà enorme rispetto agli standard dei tempi, certo con l’eccezione delle donne oppresse per altro anche in tutta Europa. La regola era, appunto, la «corsa»: chi pagava il tributo, era a posto. Non contava se eri un alchimista, un omosessuale, un perseguitato o un ebreo.
Chi fuggiva e arrivava nelle città corsare non trovava certo l’universo rigidamente vincolato che si era lasciato alle spalle. Anzi, poteva giocarsi il proprio destino nella corsa per mare, nel commercio o nella bottega d’artigiano. Per i corsari, inoltre, era importante mantenere il ponte con l’altra parte del Mediterraneo, quanto tenere a bada l’Impero ottomano. Tant’è che quando alla fine cadono le città corsare, arrivano al potere proprio i religiosi prima relegati a preoccuparsi soltanto dei deboli, degli oppressi e dei poveri. E mentre muore anche la lingua franca, tramontano le condivisioni fra diversi mondi. Comincia un’altra storia, che soprattutto da noi ha cancellato quella che si racconta nel romanzo.

Insomma, spunta un «Mediterraneo anomalo» dagli archivi? E ci siamo dimenticati la nostra stessa storia?

Tanto per cominciare, non riconosciamo l’esistenza dei rinnegati cristiani: per tre secoli siamo stati noi quelli che scappavano e si rifugiavano dall’altra parte del Mediterraneo. Eravamo noi i migranti, ma è stato totalmente cancellato dalla nostra storiografia e di conseguenza dalla nostra coscienza storica. Invece, in quella lunga stagione ha funzionato come «ponte linguistico» fra le due sponde. Era la lingua franca, cioè una lingua unica per tutto il bacino del Mediterraneo. E dalla gran mole di documenti originali che ho potuto compulsare nella cittadella ad Algeri è spuntato perfino un «Padre nostro» in lingua franca invece che in latino. Una testimonianza della libertà di culto.

Le città corsare del Cinquecento come esempio di tolleranza religiosa simile all’Olanda mercantile e marinara?

Era ampiamente risaputo al mondo che la conversione all’Islam era di convenienza, proprio per poter condurre le guerre di corsa. Bastava presentarsi di fronte alla rappresentanza diplomatica e poi recitare la formula di adesione davanti al muftì. Poi i convertiti venivano fatti girare a cavallo per tutta la città. Ma non servivano altre prove e si poteva fare i corsari.
D’altro canto, era forte la presenza degli ordini religiosi cattolici: gli schiavi cristiani, pagando, potevano andare a messa e partecipare alle processioni. Gli ebrei erano una minoranza, soprattutto fuggiti volontariamente dai pogrom in Polonia. Aprivano botteghe straordinarie di artigianato, in particolare strumenti musicali.