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L'urlo inquieto di Kate Tempest: "Restate voi stessi"

Autore: Mario De Santis
Testata: La Repubblica
Data: 5 settembre 2018
URL: https://www.repubblica.it/robinson/2018/09/05/news/kate_tempest_libro_resta_te_stessa-205673751/

A trentatré anni Kate Tempest sembra essere l'incarnazione vivente del sogno di chi vorrebbe trovare il modo di unire la letteratura e il pop. Kate Tempest ci riesce e bene, con un talento naturale e il lungo studio e il grande amore della poesia. Ne ha dato prova sia dal vivo che con i libri, tradotti anche in Italia da E/O che, dopo aver pubblicato lo scorso anno Let them eat chaos/Che mangino caos, oggi pubblica una raccolta di poesie, uscita in Gran Bretagna nel 2014, Hold Your own/Resta te stessa (pagine 217, euro 16,00) sempre con la traduzione di Riccardo Duranti. Un libro che - come in altre prove della scrittrice inglese - riprende elementi del mito classico e li getta dentro un presente di tribolazioni, marginalità, identità che battagliano nella vita, conflitti, ma anche grandi passioni.

Resta te stessa è un poema ispirato a Tiresia, l'indovino cieco che era stato trasformato da uomo in donna per sette anni, per punizione della dea Era. Questa mutazione del mito classico viene incarnata non solo da quattro voci, in quattro fasi e condizioni della vita, tutte con il mix di linguaggio veloce e colloquiale, ma anche - lo si vede bene dal testo a fronte - da una complessa e fitta costruzione di rime tese, ritmi. Ritmi sincopati con cui Tempst sa parlare a tutti, andando oltre i lettori abituali di poesia, raccontando il cuore delle cose umane, che ci riguarda e che offre proprio la continuità del mito. La tradizione greca classica della letteratura riletta e divorata dal contemporaneo sono una cifra del lavoro di Tempest, fin dal poema drammatico Brand New Ancients: una performance al Battersea Arts Centre di Londra che venne accolto da un notevole consenso di critica internazionale come una rivelazione della poesia. Frutto di un lungo percorso e di un mescolamento tra cultura letteraria e hip hop che Kate Tempest ha vissuto sulla sua pelle.

Nata nel 1985 a Brockley, un sobborgo popolare del sud-est di Londra, ha iniziato come rapper a 16 anni, ma era anche brillante studentessa. Amava la letteratura già a scuola e le due cose le ha poi mantenute parallele, nel corso del tempo: università e palco, strada e biblioteca. A 26 anni anni ha una laurea della London Goldsmiths University, ha già pubblicato poesie, fatto concerti e reading, slam e tutte le tipologie di esibizione live di testi, tra rap e spoken word, ed è conosciuta per la forza bruciante della sua energia, la potenza di intrecci tra rime e ritmi, una metrica implacabile, raffinata e al tempo stesso capace di battere sincronica con il beat delle drum machine del suo gruppo, i Sound of Rum. Capace di portare la poesia dall'audience di BBC 4 a quella di Glastonsbury, sul cui palco ha fatto un esecuzione vibrante proprio di Hold your own.

Mentre costruisce la sua carriera come rapper, Kate Tempest scrive, soprattutto poesie, guardando, come racconta in un'intervista, a Samuel Beckett, James Joyce, W.H. Auden ma anche al rapper Wu-Tang Clan. E la sua carica hip hop travolge anche l'accademia, tanto che Tempest vince nel 2013 il prestigioso Premio Ted Huges, per l'innovazione in poesia. Non ancora trentenne è nominata anche dalla Poetry Book Society come uno dei suoi 20 poeti della Next Generation. Intanto suona, pubblica album e vince o va in finale nell'ambitissimo Mercury Prize. Il premio Nobel a Bob Dylan per la Letteratura ha riacceso la discussione tra chi sostiene che i cantautori siano i nuovi poeti e chi lo nega. Kate Tempest è forse una rara e luminosa eccezione che mette d'accordo tutti. Certo avvantaggiata dall'inglese, dal metro del pentametro giambico, il verso di dieci sillabe e cinque accenti che viene usato da Shakespeare, ma è dominante anche nei testi di tanti pop singer e rapper, entrato nella misura della prosodia dell'inglese parlato nel XVI secolo in Inghilterra, molto più di quanto possa l'endecasillabo italiano di Petrarca e Dante, da cui pure il pentametro derivò.

Questo è il biglietto da visita con cui Kate Tempest si presenta ai lettori italiani di nuovo, con testi che certo assumono dal vivo un'ulteriore forza. Resta te stessa è però un vero e proprio libro, strutturato secondo un percorso drammatico, con Tiresia presentato subito come un "quindicenne/ con i soliti sogni/ e la solita routine" fatta di apatia e desideri, felpe col cappuccio, sguardi torvi, speranze e che "vive giornate penosamente lente" e ha la sua trasformazione in un boschetto mentre va a scuola. Questa mutazione dà a Kate Tempest la possibilità di misurare sul mito, sul versante colto, tutti i cambiamenti e le inquietudini sia del passaggio dell'età, sia dell'identità maschile e femminile, che portano il suo personaggio ad assumere su di sé tutti i sentimenti di un vero e proprio transito sessuale. È ancora una volta la mescolanza dell'alto e del basso, della collocazione degli antichi diventati "brand new" dentro un mondo stropicciato e marginale nella Londra suburbana e notturna con "corpi che sfogano la propria vita/ nel pulsare della strada". E nella sorpresa di Tiresia mutato in donna diventano attualizzate le domande, i dubbi, le nuove scoperte che un uomo o una donna possono farsi nella rivelazione della propria appartenenza sessuale, fino allo sconvolgere del timore e tremore - ma pure del desiderio - di un vero e proprio transito, un attraversamento delle diverse vite, ma senza ritrovarsi negli schemi dei gender, nella mentalità dominante delle relazioni sessuali maschiliste, "straight"... Un adolescente, poi femmina, poi ancora maschio e alla fine cieco.

Alla fine la cecità, l'opaco che abbiamo intorno, la mancanza di visione del futuro donano a Tiresia "un'altra vista, un altro senso", "una certa leggerezza da qualche parte/ una sensazione di certezza/ il dolore di uno scopo" ma diverso dal cappio del progresso, della religione. Tiresia è cieco ma ha tutto lo sguardo lucido che ci serve, dice Tempest - e "guarda/ look", è una delle parole più ripetute in tutto il libro - a vedere oltre il visibile e la sua durezza, le sue necessità "uno scopo/ che vada oltre i bisogni" ma pure oltre " lo Schermo/ che comanda tutto ". La connessione eterna è la nuova divinità che ci tiene in pugno. Scrive Tempest/Tiresia, da dentro il suo mondo di trentenne e Millennial, quindi senza pericolo di poter essere accusata di moralismo adulto: "Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dagli smartphone". Non poteva che scegliere l'indovino cieco per questo poema che si scaglia contro la nuova morale dominante e soffocante: il "vederci ripresi/ a colori e in alta definizione". Vittime di questa nuova morale ancora una volta le donne "una volta bruciavamo le donne/... le legavamo al palo e le accusavamo di stregoneria/ Adesso/ le mostriamo sullo schermo se hanno belle tette/ ma poi se si lasciano andare le facciamo a pezzi". Rivendicazione di libertà, di libertà di vivere l'amore, cantarlo come tutti gli amori della poesia, omossessuali, lesbiche o che sia. Il mito riletto da Tempest tracima carnalità, durezza, esplosioni emotive, di soggetti smarriti. La tensione fisica che Tempest riversa poi quando canta o dice le sue rime sul palco, dando corpo e voce all'urlo di una generazione che sta diventando adulta ma ancora deve surfare con le incertezze e la precarietà, economica ed esistenziale, che ti arriva nelle ossa, fin dentro l'intimità, deve mutare continuamente, reinventare i modi di amare rispetto al romanticismo delle riviste femminili, della tv o di Instagram con cuoricini e tramonti, che soffre dentro una Londra cupa e ossessionata dai soldi, asserragliata dall'eccesso di consumo, dalla paura dell'overload climatico. "Vedere come stanno le cose è davvero letale". Tiresia stanco "è cieco come la nostra avidità", non ha vinto, non si è arreso. Il suo sussurro profetico è sempre vicino a noi nella folla, anche se nell'ombra. L'urlo potente di Kate Tempest lo amplifica.