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Amara Lakhous, finale a sorpresa in “Divorzio all’islamica a viale Marconi”

Autore: Lucilla Noviello
Testata: Il Messaggero
Data: 27 ottobre 2010

L’italiano diventa una lingua facile nei romanzi di Amara Lakhous. Si estende lungo una costruzione narrativa che si adatta, a poco a poco – ricordando a volte il magma linguistico di Carlo Emilio Gadda – a tutti i personaggi che vivono nelle città del nostro Paese, scendendo dagli ascensori o muovendosi tra i banchi di un mercato. In Divorzio all’islamica a viale Marconi, edizioni e/o Amara Lakhous, restando in qualche modo all’interno dell’artificio del giallo, come nel suo precedente romanzo scritto prima in arabo e poi in italiano, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, sa intrigare il lettore, incuriosirlo lungo tutte le pagine del libro, stimolandone l’intelligenza attraverso un oculato uso dell’ironia. Uno strumento, questo, che in Lakhous assume spesso i toni più duri del sarcasmo o si trasforma in cinismo, scivolando verso descrizioni in cui è l’amarezza ad avere il sopravvento, più che l’umorismo dissacrante o risolutivo. I luoghi comuni della cultura araba - il velo delle donne, il ripudio ecc. - diventano i facili simboli su cui appoggiare una buona parte della comicità che poi si estende fino a comprendere tutta la comunità femminile, quindi anche quella italiana. I disagi della fatica, della mancata integrazione - pur nel continuo tentativo di ottenerla, sia legalmente sia socialmente – le relazioni tra uomo e donna, già complicate di per sé e nel libro rese ancor più complicate dalla finzione dei ruoli, dai travestimenti, dallo spionaggio, sono le componenti presenti all’interno della trama. Questa si svolge in modo circolare, e il linguaggio fa da cornice e perimetro: segna le differenze e le coincidenze tra le peculiarità dei personaggi e le loro azioni. La trama non è rocambolesca ma è comunque avvincente e segnata da un finale a sorpresa – come nella tradizione del giallo – a cui si giunge proprio attraverso un percorso che volontariamente distrae dalle giuste congetture; svia la mente e impedisce la comprensione della soluzione fino alle ultime pagine. I servizi segreti italiani hanno un loro infiltrato nella comunità araba romana per sventare un probabile attentato. I personaggi perciò non sono mai quello che sembrano: qualcuno perché agisce sotto copertura, qualcuno perché, per cultura o educazione, è abituato ad un comportamento ambiguo. Quasi tutti per entrambe queste ragioni. E poi c’è la povertà: di chi è laureato in architettura ma si adatta ad un altro mestiere, di chi è sospettato ed emarginato a causa dei pregiudizi. Delle donne che devono sempre e ancora barcamenarsi su vari piani - sempre gli stessi - di esclusione e discriminazione. Ed è anche questa una povertà di tutti: circolare e democratica, che non fa distinzioni di religione, di etnia o di sesso.