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«Dal nazismo a Trump, il populismo resta un modo di far decidere i più ricchi»

Autore: Andrea Coccia
Testata: Linkiesta
Data: 13 ottobre 2018
URL: https://www.linkiesta.it/it/article/2018/10/13/dal-nazismo-a-trump-il-populismo-resta-un-modo-di-far-decidere-i-piu-r/39740/

Il 20 febbraio del 1933 a Berlino si svolse una cena d'affari molto particolare, organizzata da colui che sarà presto ministro dell'Economia della Germania nazista, e con invitati molto particolari: 24 tra i più grandi uomini d'affari tedeschi. Lo scopo? Assicurarsi che i nuovo governo continui a fare il loro interessi. Sono tempi difficili: entro una settimana il parlamento sarà in fiamme, entro un mese Hitler sarà Fuhrer, in pochi mesi toccherà alle leggi razziali e poi, in poco più di un lustro, la guerra.

È questo il punto di partenza che Eric Vuillard, scrittore francese classe 1968, ha scelto per il suo L'ordine del giorno, edito in Italia da Edizioni e/o, con il quale si è aggiudicato il premio Goncourt 2017, il più importante premio editoriale francese. Vuillard affronta così le radici del Male, l'inizio del nazismo. Sceglie di scovare i segnali della Grande Storia nei piccoli dettagli che hanno preceduto il periodo più terribile e sanguinario della storia dell'Europa, un periodo che ha segnato la nostra epoca e che, per molti versi, ricorda quella che viviamo oggi: dalla crisi economica, ai populismi che arrivano al potere minacciosamente in tutta Europa, alla stigmatizzazione delle minoranze.

Perché hai scelto proprio quel periodo storico, credi che abbia qualcosa da insegnarci?

Probabilmente di elementi che accomunano la nostra epoca con quella ce ne sono parecchi, ma io in realtà questo libro l'ho scritto soprattutto per un caso anche se, come siano nati e come si siano radicati il fascismo e il nazismo nell'Europa del primo Novecento, è un soggetto che mi interessa da molto tempo e quando qualche argomento ti sta particolarmente a cuore capita che una nuova lettura, un film, una foto, un documento che non conoscevi fa traballare tutto il quadro, ti fa ripensare tutto daccapo e ti dà una chiave a cui non avevi ancora pensato. E così è successo a me con questo libro.

Che cosa è successo? Che cosa ti ha fatto capire che era la storia che dovevi raccontare?

In questo caso l'elemento che ha fatto traballare tutto è stato un libro, ovvero la storia della seconda guerra mondiale scritta da Winston Churchill. L'avevo già letto anni fa, ma ultimamente me lo avevano regalato in una edizione diversa e quindi me lo sono riguardato, rileggendo dei passaggi. Più che dagli elementi primari e dal racconto, che conosco quasi a memoria per averli studiati su altre fonti, da questo nuovo approccio alle memorie di Churchill sono stato attratto moltissimo dai dettagli secondari, anche di quelli che trovi nelle note. I piccoli passaggi della grande Storia, insomma, che sono poi quasi sempre i più decisivi.

C'è stato un passaggio che ti ha colpito più di altri quindi? Più di uno, ma ce n'è uno in particolare, che a priori sembra un aneddoto di poca importanza: è l'incontro tra quello che all'epoca era il primo ministro inglese, Chamberlain, con l'ambasciatore del Reich a Londra, Ribbentrop, che quel giorno aveva ricevuto la promozione a Ministro degli Esteri del Reich. È un pranzo d'addio, ma quello è un giorno molto particolare: è il 12 marzo del 1938, il giorno dell'Anschluss, dell'annessione dell'Austria da parte della Germania nazista, e a Chamberlain a un certo punto del pranzo viene recapitata una nota del Foreign Office.

E che cosa ti ha colpito di questo episodio? La differenza e il cotrasto stridente tra il tono della cena, il riguardo che, per educazione nobile, Chamberlain concede a Ribbentrop e la guerra che sta scoppiando tra i loro due paesi. Il fatto che Chamberlain, il primo ministro britannico, non si sia alzato per occuparsi di quel che stava accadendo in Europa — l'invasione di un paese da parte di un altro — per non offendere Ribbentrop. Per eccesso di educazione, ora lo chiameremmo forse accesso di buonismo, Chamberlain resta ad ascoltare delle inutili chiacchiere fatte apposta per fargli perdere tempo invece che occuparsi della Storia. È una scena molto interessante da scrivere, ma credo che sia interessante anche da leggere.

Perché?

Perché parla anche del presente della nostra politica.

In che senso?

Questa scena ci mostra come nella vita politica tutto sia sempre legato, perché in fondo tra la vita economica, quella sociale, quella politica e quella psicologica ci sono sempre legami molto più forti di quelli che sembrano poi dai libri di storia. E vediamo anche qualcosa che percepisco anche ora, nella politica europea: l'eccessiva e in fondo grottesca formalità nel dover essere gentili anche con i più acerrimi nemici. All'epoca siamo stati troppo gentili con il nazismo, oggi stiamo rischiando di fare la stessa cosa con i populismi. E anche la miopia delle nostre classi dirigenti c'entra con questa dinamica.

Perché? Mi fai un esempio?

Guarda, per esempio qualche tempo fa sono stato in Romania dove stavano organizzando un referendum per difendere la famiglia tradizionale. Un argomento che, se guardiamo allo stato in cui è la Romania in questi anni, è totalmente secondario e insignificante. E mi sembra che assistiamo alla stessa dinamica anche in Italia o in Francia quando assistiamo alle discussioni politiche sui flussi migratori, discussioni molto polemiche che in entrambi i paesi occupano quasi interamente il dibattito politico polarizzandolo ma che nella realtà non sono tra le preoccupazioni più importanti dei cittadini, che si preoccupano molto di più del lavoro che non c'è e della crisi del loro potere d'acquisto.

Il libro si articola anche su una riunione tra le elite economiche tedesche e il governo di Hitler, come mai questa scelta?

Sì, la riunione segreta che c'è stata dopo la nomina a cancelliere di Adolf Hitler, quando i 24 più grandi industriali francesi vollero incontrare il regime per assicurare loro il proprio sostegno. Fu un'idea dell'economista Hjalmar Schacht con l'obiettivo, contemporaneamente, di distruggere la Repubblica di Weimar e di farsi finanziare la campagna elettorale. D'altro canto, il mondo economico voleva assicurarsi che la politica nazista si conformasse ai suoi interessi, come in ogni populismo.

Recentemente in Italia è stato abolito il finanziamento pubblico ai partiti, che cosa ne pensa?

In generale il finanziamento delle campagne elettorali è un problema strutturale delle democrazie. Soprattutto dal momento che delle potenze economiche decidono di sostenere dei poteri politici, concentrando nelle mani di una minoranza soldi e potere. Non saprei come si potrebbe riuscire a mettersi al riparo da questa dinamica e non compromettere contemporaneamente la democrazia.

Siamo sempre portati a pensare che il nazismo, e in generale tutte le politiche populiste, siano realmente legati al malessere popolare, anche se la storia — come in questo caso, ma come anche in molti altri — dimostra che il più forte alleato del potere politico resta il potere economico. Cosa ne pensa?

Credo prima di tutto che il termine populismo ci ponga un problema, ovvero quello di dare la sensazione che il popolo sia direttamente responsabile della politica e della classe dirigente. Nella realtà non è così, per niente, perché il potere è sempre orchestrato dalla classe dirigente e dal potere economico. E anche il voto alla fine è ampiamente orchestrato dall'alto, e infatti molto prima che il popolo venga interpellato il sistema sceglie i propri candidati, che sono in numero molto ristretto e non vengono certo scelti dal basso. Quindi, diciamo, la volontà popolare viene apparecchiata molto prima che si palesi la volontà del popolo.

Come vedi la situazione italiana?

Eh, in Italia la situazione è complicata. Da una parte c'è un movimento che sostanzialmente è nato dal basso in maniera relativamente spontanea e dall'altra, alleato ai 5 Stelle, c'è la Lega, un partito strutturato che esiste da 30 anni, con anni di governo alle spalle, tutto il contrario di un movimento popolare direi. Quindi, a ben vedere il termine populismo, soprattutto se utilizzato per tutte e due le forze politiche, potrebbe falsare un po' la nostra percezione, ma in fondo, quando vanno a votare non partecipano alla vita politica e di partito molto di più di quando votavano per Berlusconi. E tra l'altro se non mi sbaglio l'affluenza al voto è scesa.

Cosa ti inquieta di più dello scenario italiano?

Certamente l'aspetto economico, ma pur avendo letto a riguardo del piano economico che stanno presentando in Parlamento, devo dire che la loro politica mi sembra totalmente opaca, non si capisce bene cosa hanno in testa e fin dove vogliono arrivare. Devo dire che mi ha molto stupito, e un po' inquietato, il valzer dei governi subito dopo le elezioni: c'è stato un primo incarico a Conte, rigettato dal Presidente della Repubblica a causa di un incarico a un economista, Savona, che in realtà mi sembra molto più simile a un politico, e quindi molto meno pericoloso, del ministro degli Interni Salvini, un personaggio parecchio inquietante ai miei occhi. E mi sembra paradossale e persino curioso che invece agli occhi di Mattarella fosse più pericoloso Savona.

Un'ultima domanda, che cosa ci può far vedere lo sguardo letterario che lo sguardo storico non riesce?

La letteratura, al contrario di quel che in tanti dicono per renderla innocua, non è soltanto una attività di immaginazione, di fantasia, di speculazione. Ma guarda anche solo da voi, in Italia, dove la storia della letteratura del Novecento ci insegna che il realismo di Carlo Levi, di Fenoglio, di Sciascia, di Primo Levi e di molti altri sia esattamente il contrario di quella bestiola tranquillizzante a cui vorrebbero farla somigliare in molti. Al contrario, la letteratura ha una forza critica e politica molto forte, anche se poi gli esiti sono diversi da epoca a epoca. Indipendentemente dal livello di finzione delle loro opere, i loro libri sono più potenti di molti libri di storia.