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L’ordine del giorno – Éric Vuillard

Autore: Alessandro Vergari
Testata: Gli amanti dei libri
Data: 18 ottobre 2018
URL: http://www.gliamantideilibri.it/lordine-del-giorno-eric-vuillard/?fbclid=IwAR0E4RHoCE2oA_NvgumE7ocCap9b1PlFopf4j5QV6Zcafcbxy8OQAa4XCBo

Sulla copertina di L’ordine del giorno, libro scritto da Éric Vuillard e recentemente pubblicato in Italia dalle Edizioni e/o, campeggia la figura intera di Gustav Krupp. Il 20 febbraio 1933 il re dell’acciaio tedesco è invitato, insieme ad altri ventitré magnati dell’industria e della finanza, presso il palazzo del presidente del Reichstag. Una riunione particolare.

“Göring fece dunque il giro del tavolo con una parola per ciascuno, stringendo ogni mano calorosamente… L’imminente campagna elettorale è determinante, dichiara il presidente del Reichstag, bisogna farla finita con l’instabilità del regime, l’attività economica chiede calma e fermezza”. Krupp, von Opel e nomi all’apparenza meno eclatanti come Schnizler, Witzleben, Schmitt, Finck, riconducibili ai colossi BASF, Bayer, Agfa, Siemens, Allianz, Telefunken e altri ancora, si trovano al cospetto di Adolf Hitler. Il partito nazionalsocialista è in piena ascesa ma non ha denari in cassa. I ventiquattro, assaliti dalla retorica pragmatica e allucinata del prossimo Führer, persuasi di fare un buon affare, mettono mani ai portafogli. L’industria, la stessa industria che nel dopoguerra plasmerà il nostro mondo, sovvenziona di buon cuore il nazismo, argine al comunismo, ai sindacati, ai sovversivi, schiaffo alle potenze internazionali che hanno punito la Germania. Alle elezioni del 5 marzo Hitler trionfa.

L’ordine del giorno è una ricostruzione storica veritiera e, al contempo, un ammonimento. Éric Vuillard, vincitore con quest’opera del premio Goncourt 2017, esplora il ‘dietro le quinte’ dell’annessione dell’Austria (Anschluss) al Terzo Reich, preludio ad una guerra mondiale annunciata, partendo dall’osceno matrimonio d’interesse tra potentati economici e ideologia nazista. Lo sguardo dell’autore si allarga presto all’Europa liberale e democratica, Inghilterra e Francia in primis. È sconvolgente leggere i passaggi asciutti, lucidi, ironici, che dipingono il deserto politico-culturale di un’epoca caratterizzata dall’impotenza delle libere nazioni europee e si potrebbe anche aggiungere dalla loro tattica condiscendenza, a fronte dell’intraprendenza hitleriana.

Il conte di Halifax, Lord presidente del Consiglio, si reca in Germania nel 1937, avallando i piani di invasione tedeschi. Il suo status nobiliare lo avvolge come un manto e lo acceca, tanto da scambiare Adolf Hitler per un domestico in livrea. L’11 marzo 1938, data del plebiscito in Austria sull’indipendenza del paese, Albert Lebrun, presidente della Repubblica Francese, firma decreti sui vini e sulla lotteria nazionale, perso “in fantasticherie sotto l’immenso egoismo del suo paralume”. Il giorno dopo, con i panzer tedeschi penetrati all’interno dei confini austriaci, Neville Chamberlain, primo ministro inglese, organizza un pranzo d’addio per Joachim von Ribbentropp, appena nominato ministro degli Affari Esteri da Adolf Hitler. L’ambasciatore Ribbentropp, scopriamo, ha vissuto fino a quel momento in una casa in affitto di proprietà dello stesso Chamberlain, come fosse un inquilino qualunque.

È la banalità del blitzkrieg, la guerra-lampo ‘indolore’ mossa dai nazisti ai danni dell’Austria, il motivo centrale de L’ordine del giorno. Il cancelliere Schuschnigg, a capo di un governo ultraclericale, fascistoide e antidemocratico, è convocato al Berghof, la dimora del Führer. Éric Vuillard tratteggia la figura di un uomo che, sbeffeggiato da Hitler in merito alla pochezza umana degli austriaci, tira fuori il solo nome di Beethoven, nato a Bonn, tedesco naturalizzato austriaco, per controbattere! È un’escalation mai vista di ricatti e di minacce. Schuschnigg non cede alla richiesta di Hitler, far entrare nel governo Seyss-Inquart, un nazista dichiarato, in qualità di ministro plenipotenziario dell’Interno. Né accetta di amnistiare i nazionalsocialisti incarcerati per l’omicidio del cancelliere Dollfuss. Da qui in poi, è il precipizio. Schuschnigg tenta di salvare se stesso parandosi dietro la correttezza formale delle procedure. Proprio lui, l’estremista che ha svuotato l’Austria di ogni sostanza democratica, eleva a scudo il diritto costituzionale. Questa barbarie teatralizzata è oggetto di un’acuta analisi.

Il lettore avverte nelle parole dello scrittore il sincero stupore di chi denuncia lo scandalo della Storia. I nazisti desiderano impossessarsi dell’Austria, e più tardi allargarsi nello “spazio vitale” che credono competa loro, simulando un limpido rispetto delle leggi in vigore. Estremo paradosso, estrema vergogna: le potenze europee, ossessionate dal fantasma del comunismo, rassicurate da cotanto zelo nazista verso il diritto internazionale, non hanno nulla da obiettare alla Germania. Sono ore convulse, tragiche, ridicole, culminate nella pagliacciata dell’invito ‘ufficiale’, una sollecitazione affinché si proceda all’invasione, una carta vergata dai nazisti e consegnata a Seyss-Inquart, nominato cancelliere in fretta e furia, affinché la spedisca per telegramma a Hitler.

Il nazismo, movimento attento, almeno all’inizio, a non lacerare la veste del diritto, comunque ferocissimo nel perseguire gli obiettivi concreti, sfrutta la fragilità strutturale degli organismi internazionali. Francia e Inghilterra, a Monaco, un anno prima dello scoppio della guerra, provano a legittimare le funeste ambizioni di Hitler con un accordo che avrebbe dovuto limitarne gli appetiti. Invano. Vuillard ci invita a riflettere sulle ricorrenze della Storia. Oggi come ieri, il diritto, se alienato dalla sua essenza democratica, è un mero scheletro procedurale, l’anticamera del disastro etico. Svincolato da principi di equità e di saggezza, disancorato dai valori del vivere civile, il diritto è come un sonnambulo sulla soglia dell’abisso.

L’avanzata nazista in Austria è emblematica della debolezza complessiva del sistema. È un punto focale: l’esercito tedesco, che pure non incontra resistenza, fatica ad arrivare a Vienna. I carri armati si guastano a metà strada, uno dopo l’altro, causando surreali incolonnamenti di panzer in panne. Hitler, infuriato, supera i blocchi e inveisce contro il proprio esercito. La popolazione austriaca, in larga parte soddisfatta della svolta, attende paziente l’invasore, temendo, colmo dei colmi, che qualcosa sia andato storto. Tutto è pronto per i festeggiamenti… Solo l’intervento di alcuni treni notturni evita alla Germania la figuraccia. Nella comicità delle scene, si nasconde una verità: il nazismo è fallibile e imperfetto, eppure la spacconeria e l’assertività acritica, prerogative del linguaggio fascista, lo rendono invincibile. Il convitato Ribbentropp, a Londra, conscio del blitzkrieg in atto, non si alza da tavola fino a sera, conversando normalmente di champagne, di cucina, di tennis, impedendo a Chamberlain e a Churchill, fedeli ai protocolli di Stato e alla buona educazione ricevuta, di agire dopo la ricezione del messaggio recante notizia dell’invasione.

Nella Vienna occupata qualcuno rifiuta l’assimilazione e, incapace di vedere un futuro per sé, per la famiglia e per la patria, si uccide. I giornali chiudono. Gli ebrei vengono umiliati in pubblico e l’azienda del gas, un aneddoto riferito da Walter Benjamin in una lettera, taglia le forniture per evitare gesti suicidi. Ciò che spaventa è l’impossibilità, per l’ebreo morto, di pagare la bolletta: ecco la meschinità delle destra ragionieristica di ogni tempo. Il libro di Vuillard si chiude con il sogno a occhi aperti di Krupp. Quanti schiavi furono utilizzati nelle fabbriche tedesche, per costruire l’apparato bellico di Hitler? Quante decine di migliaia di vittime ha sulla coscienza la dinastia Krupp? E Siemens? E le altre? Un incubo che si chiama responsabilità morale, un incubo che dura un battito di ciglia. “Non si cade mai due volte nello stesso abisso. Ma si cade nello stesso modo, con un misto di ridicolo e di spavento”. E noi, siamo pronti a riconoscere il male quando bussa alla nostra porta?