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«Bisogna rileggere Izzo per guardare oltre il mare»

Autore: Paolo Morelli
Testata: Corriere Torino
Data: 21 novembre 2018

Dobbiamo fare il punto sul lavoro di Jean Claude Izzo, ce n’è bisogno. Aveva una enorme capacità di leggere la dimensione del Mediterraneo». Lo sostiene Massimo Carlotto, tra i più apprezzati autori noir contemporanei, che dopodomani alle 21 parteciperà all’incontro «A proposito di Jean Claude Izzo», che si terrà al Molo di Lilith (via Cigliano 7). Con Carlotto ci saranno anche la documentarista Silvia Rota, autrice con Paolo Borraccetti del documentario «Jean-Claude Izzo — Mediterraneo Noir», e Paola Farinetti, moglie di Gianmaria Testa, che fu grande amico dell’autore.

Poeta, drammaturgo e giornalista, Izzo ha dedicato una vita alla sua città, Marsiglia, protagonista della celebre «trilogia marsigliese». I romanzi polizieschi dell’autore, figlio di un immigrato italiano della provincia di Salerno, hanno immortalato l’immagine di una città romantica e criminale, dove i traffici della malavita si intrecciano con la dimensione cosmopolita di uno dei porti principali del Mediterraneo. Il suo lavoro ha codificato un genere: il «noir mediterraneo».

Carlotto, perché è necessario fare il punto su Izzo?

«Il suo punto di vista sul Mar Mediterraneo è molto importante, per questo ripercorreremo le fasi della sua opera.Quando Marsiglia è stata capitale europea della cultura (nel 2013, ndr), non è stato nemmeno ricordato. Lo abbiamo fatto noi durante un convegno a Genova. A distanza di quasi vent’anni dalla sua morte si è scritto e detto molto, ma è necessario riannodare i fili. Lui mantiene una dimensione culturale tipicamente mediterranea, che riguarda soprattutto la costruzione di un legame tra le due sponde».

Izzo, quindi, è stato dimenticato in Francia?

«No, ma lui ha fatto un lavoro molto preciso. Ha teorizzato come la città di Marsiglia non fosse francese, ma mediterranea, criticando il punto di vista del suo Paese rispetto al conflitto con l’altra sponda del mare. Questo ha fatto sì che ancora oggi sia poco amato da molti francesi, sebbene ce ne siano tanti altri che invece riconoscono il suo punto di vista».

Insomma, una figura dibattuta, come ogni intellettuale che si rispetti.

«Lui, soprattutto in merito al caso di Marsiglia, insisteva sulla crescita della solidarietà come unico sbocco per guarire dalle contraddizioni. La città ha avuto un momento in cui è precipitata nel conflitto armato della guerra tra bande, poi ha avuto un periodo di rinascita, ma la situazione è ancora piuttosto complessa. Ora sta subendo una enorme mutazione urbanistica, con sconvolgimenti profondi, ma ha una sua unicità non raffrontabile con altre città. Per questo il lavoro di Izzo è ancora un punto di riferimento. Una delle caratteristiche della sua opera è stata quella di sottolineare come le città delle due sponde del Mediterraneo, pur appartenendo allo stesso mare, siano profondamente diverse per storia e per sviluppo economico e sociale».

È davvero così?

«Le due sponde non hanno una storia condivisa, è necessario uno sforzo immane per cercare di ricucirle dal punto di vista culturale. Poi serve un ragionamento sulle migrazioni, perché al momento esiste una narrazione esclusivamente europea, dobbiamo sapere che questa è una visione distorta. È stato completamente spazzato via un tessuto culturale in grado di rapportarsi con l’Occidenteeraccontare. L’enorme massa di chi arriva, poi, non ha ancora espresso una scrittura pertestimoniare un punto di vista differente».

Anche lei ha lavorato molto sul tema.

«Sì. Volevo scrivere un romanzo, ma quando mi sono reso conto che avrebbe avuto un punto di vista soltanto europeo ho scelto la fiaba, costruita sui luoghi comuni africani, così è nato “La via del pepe”. In “Cristiani di Allah”, invece, ho lavorato dall’altra sponda, ad Algeri, dove ho scoperto una storia e ho raccolto del materiale per costruire una contro-narrazione, parlando di quando siamo stati noi i migranti. Del resto, abbiamo modi completamente diversi di vedere la storia di quegli anni (il romanzo, del quale è uscita una riedizione, è ambientato nel 1500, ndr). Il conflitto sembra essere tra cristiani e musulmani, in realtà è meramente economico, la guerra di costa è stata la forma principale di economia per entrambe le sponde».

C’è un legame tra il mondo culturale e la solidarietà sociale?

«Al momento le contraddizioni sono così forti che il mondo culturale è ancora incapace di interpretarle. La cultura, come la solidarietà, è sotto attacco. In questi anni ho notato la tendenza ad accusare i modelli solidaristici fondamentali. Inoltre la non competenza è diventata una forma di rivendicazione, un assalto in nome di una sorta di parità. È una società che attacca anche scuola e università e che si allontana da modelli un tempo molto robusti e consolidati. Si è fatta una scelta legata alla passività»