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Maryse Condé, la Nobel alternativa venuta dai Caraibi

Autore: Raffaella De Santis
Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 4 gennaio 2019

Ottantun anni, originaria della Guadalupa, isola delle Antille spazzata dagli uragani, Maryse Condé ha vinto il "Nobel alternativo" per la letteratura. Autrice di una ventina di libri che parlano di neri, streghe, schiavi, non c'è dubbio che fosse la persona giusta da portare sul podio: il simbolo perfetto della scrittrice attivista nell'anno dello scandalo sessuale che ha portato alla sospensione del premio ufficiale. In Francia, dove oggi è tornata a vivere dopo anni trascorsi in Africa, presiede il Comitato per la memoria della schiavitù. Il suo nome è stato scelto dalla Nuova Accademia - fondata da personalità della cultura svedese - dopo una selezione popolare online che l'ha portata a battersi con lo scrittore e fumettista inglese Neil Gaiman, la canadese di origine vietnamita Kim Thuy e l'immancabile Haruki Murakami (che però si è sfilato prima del traguardo).

I romanzi di Maryse Condé raccontano storie vere o comunque ispirate dai ricordi della scrittrice. Due titoli fra tanti: Io, Tituba, strega nera di Salem, protagonista una schiava caraibica accusata di stregoneria, e Segù, una saga storica africana considerata il suo capolavoro. Ora le edizioni E/O ripubblicano in Italia La vita perfida, l'epopea di una famiglia nera che si arricchisce ma non dimentica il passato di umiliazioni.

La storia inizia nella Guadalupa del primo Novecento, quando il vecchio Albert Louis trova il coraggio di abbandonare la piantagione per tentare la fortuna nel canale di Panama, allora in costruzione. Ma il riscatto sociale, il faticoso passaggio da braccianti a borghesi, non cancella la sofferenza. Albert è intraprendente: prima mette su un'impresa di pompe funebri (i morti non mancavano tra gli operai del Canale), poi una lavanderia nella Chinatown di San Francisco; quando però una banda di razzisti crivella di colpi il suo amico comincia a provare un odio che lo accompagnerà tutta la vita. Un disagio che si trasmetterà di generazione in generazione come un marchio, un grumo di rabbia indelebile che inseguirà i Louis ovunque. La vita è perfida perché conserva la memoria dei torti subiti. Per Condé non ci si libera dai propri fantasmi: nel romanzo i morti appaiono ai vivi, li provocano, gli ricordano chi sono, da dove vengono.

Nonostante questo, l'accidentata giostra esistenziale dei Louis è scaldata da una scrittura musicale, lussureggiante. Morti, bordelli, guerre, epidemie, risse, vendette, scorrono placidi, ricordando che la sostanza di ogni esistenza è sempre un amalgama di tenerezza e violenza.