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Che fine ha fatto Lonely Doll?

Autore: Elisa Manisco
Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 8 marzo 2019

Era l'autrice di libri per bambini più famosa d'America, ma la vita di Dare Wright, pittrice, fotografa e modella di grande bellezza e successo, più che una favola fu un racconto gotico. Un mix di bizzarrie e traumi familiari che non avrebbe sfigurato in un horror stile Che fine ha fatto Baby Jane?.

A rivelarlo è il bel libro di Jean Nathan Vita segreta della bambola solitaria, uscito in America nel 2004 e appena pubblicato qui da noi per la casa editrice e/o. A metà strada tra biografia e reportage investigativo l'opera, che presto diventerà anche un film con Naomi Watts e Jessica Lange, forse diretto da Julian Schnabel, racconta splendore e miserie di Wright: anoressica, frigida e intrappolata in un rapporto simbiotico con una madre inguaribilmente narcisista, l'ambiziosa ritrattista dell'alta società Edith Stevenson Wright. Che forse non perdonò mai alla figlia il successo ottenuto creando il personaggio della Lonely Doll, protagonista a partire dal '57 di 11 volumi di assoluto culto per generazioni di piccole lettrici (in Italia arrivò nel '59 grazie a Bompiani). Album fotografici dove la "bambola solitaria" Edith, un fantoccio in panno Lenci che Dare possedeva dall'età di sette anni (e che non a caso si chiamava come sua madre), viveva con gli orsi di peluche Mister Bear e Little Bear in una New York ricca di glamour e mistero. La trama era esilissima: in ogni volume Mr. Bear spariva per impegni o commissioni, permettendo a Edith e Little Bear di compiere innocue marachelle. Quando Mr. Bear tornava, infliggeva a Edith una sonora sculacciata, seguita dalla catartica promessa di non lasciarsi mai. Se a questo si aggiunge il bianco e nero pulp degli scatti, il make-up eccessivo e l'allusività delle mutandine in bella vista di Edith piegata sulle ginocchia di Mr. Bear, si comprende perché il New Yorker abbia definito The Lonely Doll «il libro per bambini più disturbante di sempre».

Ma anche uno dei migliori mai pubblicati. Un'ossessione per tante bambine divenute donne come Jean Nathan, 61 anni, reporter per Vogue e il New York Times, che con quel libro dalla copertina a quadretti vichy ci era cresciuta: «Me lo regalarono i miei nonni» racconta al telefono dagli Stati Uniti. «Da adulta me ne dimenticai. Ma un giorno mi venne voglia di rileggerlo e scoprii che era introvabile». Dopo decenni di successo, The Lonely Doll era sparito dai radar. Fuori catalogo e fuori moda, sopravviveva come tesoro per collezionisti, disposti a pagare centinaia di dollari per una copia malridotta ma ancora capace di irradiare la sensibilità camp tipica dei primi anni 60, dove il gusto per l'artificio si sposa a confini assai sfumati tra innocenza e perversione. Nathan assolda cercatrici professioniste di libri, lascia il suo nome in biblioteche e negozi specializzati, senza risultato. Allora si mette alla ricerca di Wright «di cui nessuno sapeva nulla».

La trova nell'elenco telefonico di New York all'11 di East 80th Street e decide di scriverle una lettera. «Qualche giorno dopo mi chiamò una donna. Disse di chiamarsi Brook Ashley e di essere la sua tutrice legale. Mi spiegò come la scrittrice, ormai 84enne e senza parenti, si trovasse in un ospedale, tenuta in vita dalle macchine. Volevo forse accompagnarla a casa sua ad aiutarla a mettere ordine tra le sue cose?». Nathan non se lo fa ripetere due volte e nel momento in cui mette piede nell'elegante palazzina di mattoni rossi vicino Central Park capisce di aver trovato la storia della vita. La residenza, ricolma di quadri, abiti da sera e vecchie fotografie: era "lo stupefacente racconto visivo di un'autobiografia". Un'esistenza eccentrica e tormentata che Nathan ricostruisce grazie ad Ashley e a decine di vecchi amici e conoscenti della scrittrice e fotografa.

Scopre che Dare Wright è nata nel 1914 ed è canadese. Alla separazione dei genitori il fratello più grande, Blaine, viene affidato al padre, un critico teatrale, e lei resta con la madre pittrice, che la imprigiona in un amore morboso e ne fa la sua musa, immortalandola in decine di ritratti. Diventata adulta e bellissima, Dare prova a fare l'attrice e la modella. Ma solo dietro l'obiettivo trova la sua strada. Così nasce la Lonely doll. La bambola preferita di quando era bambina viene acconciata e rivestita a sua immagine e somiglianza, diventando un alter ego con cui riparare i torti del passato.

«Nelle sue opere Dare mette in scena la famiglia unita che non ha mai avuto», ragiona Nathan.«E non è un caso che manchi la figura materna, così opprimente. Molti autori per l'infanzia, come Lewis Carroll e James Matthew Barrie, avevano traumi alle spalle. Forse l'incapacità di adattarsi alla vita adulta è il segreto per comunicare con i più piccoli». Con il suo aspetto sexy, i corteggiatori (tutti respinti) e le frequentazioni nel jet set (da Greta Garbo a Clare Boothe Luce, amicizie sempre condivise con con la madre), Dare poteva sembrare una donna matura e consapevole, ma in realtà era «innocente come una bambina». E come una bambina amava giocare con le bambole e travestirsi.

Nell'appartamento, Nathan scopre decine di autoritratti "segreti" in cui è mascherata da fata, principessa o sirena. Spesso è nuda. Uno dei più suggestivi la mostra sdraiata sulla battigia con il corpo coperto di alghe, come un cadavere appena riaffiorato dal mare. «Quel modo di giocare con la sessualità e gli archetipi ha anticipato il lavoro di tante artiste» dice Nathan. «Come Cindy Sherman: quando le ho mostrato le foto ha esclamato: "In pratica è il mio lavoro, solo che Dare lo ha fatto 50 anni prima!"». Spesso con la collaborazione della madre, da cui nonostante tutto non poteva e non voleva staccarsi. Quando nel '75 Edith muore nel sonno, a 92 anni, lei e Dare sono nello stesso letto, avvinghiate nella posizione del cucchiaio. Pochi anni dopo se ne va anche l'amatissimo fratello e la 69enne Dare imbocca il viale del tramonto. Mangia poco e beve troppo; gli amici la sorprendono a conversare con giocattoli e fotografie. Sparisce per giorni, e quando torna sembra che l'abbiano pestata. Le sue giornate diventano una replica grottesca dello schema di trasgressione e punizione raccontato nelle sue opere.

Finché un giorno del 1995 non viene ricoverata per insufficienza respiratoria in una struttura di lungodegenza. Muore nel 2001, sola e dimenticata. Non saprà mai del revival dei suoi libri, ripubblicati dopo la scomparsa, né delle nuove generazioni di artiste che la considerano una pioniera: Ma forse non gliene avrebbe importato granché. Dopotutto, lei non era di questo mondo .