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Matt Haig: "Meglio offline che vivere su un pianeta nervoso"

Autore: Francesco Musolino
Testata: La Repubblica
Data: 15 marzo 2019
URL: https://www.repubblica.it/robinson/2019/03/14/news/matt_haig_meglio_offline_che_vivere_su_un_pianeta_nervoso_-221532281/

"La dipendenza da social media esiste ed è dannosa per il nostro equilibrio mentale. Personalmente ho bisogno di darmi delle regole per non andare in tilt". A 24 anni pensava di farla finita. Oggi, 43enne e padre di due bambini, dopo il successo raggiunto con Ragioni per continuare a vivere (2015, Ponte alle Grazie) - in cui parlava delle sue crisi depressive - lo scrittore e giornalista inglese Matt Haig, rilancia la sfida con Vita su un pianeta nervoso (edizioni E/O, 192 pagine, 15 euro), mettendosi ancora a nudo, raccontando degli attacchi di panico, della necessità di disconnettersi per sconfiggere l'ossessione di controllare i social e svuotare la casella mail. Un monito che giunge da un uomo analogico? Tutt'altro. Haig ha un vivace scambio giornaliero con i suoi 260mila followers, tanto che in vista del prossimo libro ("parlerò ancora del progresso tecnologico e dell'impatto sui nostri ritmi naturali") ha lanciato diversi sondaggi per scovare il titolo adatto. Nel frattempo, cinguetta sul riscaldamento globale ("parliamo solo di Brexit mentre il clima è fuori controllo") e dispensa dritte che i lettori apprezzano. "Si può sembrare sicuri e avere l'ansia. Puoi sembrare sano e sentirti una schifezza. Puoi essere un uomo e piangere. Puoi avere tutto e non sentire niente".

In "Vita su un pianeta nervoso", parla apertamente delle sue fragilità, degli scatti d'ira contro gli haters, dei momenti bui. È stata una vera sfida?

"Senza dubbio. Nel 2015 avevo fisicamente bisogno di scrivere Ragioni per continuare a vivere ma dopo il clamore ottenuto temevo che qualcuno potesse identificarmi come Mr. Depressione; così ho scritto due storie, Un bambino chiamato Natale e La bambina che salvò il Natale (edite da Salani) e un romanzo, Come fermare il tempo (pubblicato da E/O), spostando altrove la mia attenzione. Ma incontrando i lettori, leggendo le loro mail, quel tema continuava a saltare fuori..."

Come mai?

"Stranamente ammettiamo che l'alcol o le droghe possano essere dannose per la nostra salute mentale ma ignoriamo totalmente il peso che i social media giocano sul nostro equilibrio. L'attuale generazione fra i 16 e i 24 anni è la più connessa e la più solitaria mai esistita".

Si sente meglio quando è offline?

"Decisamente. Ovviamente è tardi per staccare la spina e rimettere il genio in bottiglia. Ma un giorno mi sono reso conto che trascorrevo ore ed ore sui social media. Ero distratto, preda di emozioni molto forti e sono stato costretto a darmi una regolata".

Ovvero?

"Ad esempio, quando vado a dormire lascio il telefono al piano di sotto, in cucina. Può sembrare una piccola cosa, ma così lo smartphone non è più sul comodino, accanto al letto. Mi sono concesso il tempo di risvegliarmi e aprire gli occhi senza l'ossessione di dover subito guardare le mail e le notifiche social".

Esiste la dipendenza da social media?

"Ne sono convinto. La cosa peggiore è quando ti rendi conto che hai buttato nella spazzatura il tuo tempo scorrendo la timeline, invidiando la vita altrui, convincendoti che se la stiano spassando. Tutto ciò genera sensi di colpa ed incide pesantemente sull'autostima".

L'insicurezza è un sottoprodotto del capitalismo?

"La paura è il motore dell'economia. Se fossimo soddisfatti chi comprerebbe ancora le creme anti-invecchiamento? Chi userebbe quelle app che usano filtri per modificare il viso, cambiando il colore della pelle e la forma degli occhi, facendoci assomigliare a Bambi? Sì, l'ansia genera un profitto da milioni di dollari e il mercato ci induce a credere che l'avanzare dell'età sia un problema da risolvere. Del resto, anche i politici fanno leva sulle nostre paure".

Lei twitta ferocemente anche sul cambiamento climatico.

"La Brexit è terribile, un vero disastro. Eppure, la Gran Bretagna un paio di settimane fa era al gelo e nessun media ha detto chiaramente che questo clima impazzito è una conseguenza del surriscaldamento globale. Continuiamo ad ignorare il problema".

"Vita su un pianeta nervoso" ha venduto 150mila copie. Ancora oggi è difficile parlare di depressione?

"Adesso ci sono parecchi libri sul mercato ma spesso hanno il tono delle confessioni dei sopravvissuti, così chi ne soffre continua a sentirsi addosso lo stigma sociale. La sfida è scoprire chi siamo in mezzo alla folla di noi stessi".